Solo un cieco o un sordo può continuare a sperare nei fasti di Sanremo 2021. Perché dire un idiota, ai tempi del mainstream asservito a logiche globaliste e del politically correct dilagante potrebbe risultare non in linea con l’ormai omogeneo pensiero comune.

Chi scrive è stato tra i primi a pronosticare sorte avversa e infausta per il carrozzone canterino più amato d’Italia già in tempi non sospetti, quando tra gli Amadeus e i Fiorello festanti ci si mettevano pure in coro i dirigenti Rai a rassicurare gli animi, profondendo speranze oggettivamente senza senso.



Appare evidente che in Riviera (ma non a Roma in Viale Mazzini) qualcuno di buonsenso vi sia ancora. E’ il Prefetto di Imperia, Alberto Intini, che con l’aplomb serafico e ieratico, conciso e stringato di un comandamento biblico ha chiosato ai media imperturbabile: “La norma è chiara, e Sanremo non sarà un’eccezione”, pronunciandosi in merito all’attuazione dei dispositivi inclusi nei contiani, deliranti DPCM che di fatto impediscono la presenza di pubblico al Teatro Ariston. E la Rai, che fa? Anziché adempiere, pare inventarsi i figuranti contrattualizzati. Incredibile auditu!



Ripetersi è brutto, l’ho scritto, detto e stradetto più volte. Ma, evidentemente, alla Radiotelevisione Italiana prevalgono i peggiori sordi: quelli che proprio si ostinano a non voler sentire. A fare come se nulla fosse, in barba e in spregio a un Paese che soffre e muore. Finendo sul lastrico ogni giorno di più. In preda ad abbandono, disperazione e paura. E, per di più, senza lottare, ribellarsi, scendere in piazza e rovesciare la dittatura invisibile ma stringente in cui siamo tristemente caduti senza neanche accorgercene.

Non è più tollerabile questa sfacciataggine oltre soglia che confina la Tv di Stato al rango di una casta nobiliare effettiva che pretende di arrogarsi prerogative d’eccezioni impensabili in una nazione democratica e corretta. Né tantomeno si doveva scomodare la massima autorità istituzionale locale per comprendere, a costo di farsi inutilmente ridicolizzare, che se ‘pandemia’ è, lo è per tutti: e forse, anche se con rammarico, questo è l’unico aspetto realmente egualitario in questa povera Italia sempre più frammentata e divisa.



Spiace per l’AD di Rai Fabrizio Salini, per il Direttore di Raiuno Stefano Coletta, per Amedeo Umberto Rita Sebastiani al secolo Amadeus e per il Rosario nostrano più istrionico e simpatico: anche una rete generalista come l’ammiraglia pubblica deve arrendersi innanzi al fatto che trasmettere canzoncine e canzonette con tanto di pubblico che va e viene da un prestigioso natante da crociera, oltretutto servito e riverito con la scusa di una pseudoprotezione a fini di tutela sanitaria, suona come una bestemmia proferita ad alta voce in chiesa. Uno schiaffo morale inaccettabile a un popolo ferito che non ha più neanche lacrime e occhi per piangere e sfogarsi.

Tutti i programmi vanno in onda a studio vuoto, se ne facciano una ragione anche conduzione, Direzione artistica e Commissione del Festival. Ma vi pare?

Non vi piace? Pagate pure le penali agli inserzionisti pubblicitari, e rimandiamo il tutto a tempi migliori. Al 2022, se ve ne saranno le condizioni. Oppure si mandino a casa con un bel calcio nel sedere tutti quei ‘fior’ di manager stra-profumatamente pagati che, tra prima rete e concessionaria pubblicitaria dell’azienda pubblica, per tempo non hanno messo in cautela l’investimento sanremese, l’immagine e la credibilità della Rai ipotizzando per tempo un clamoroso ma ragionevole salto di turno.

Privilegiare Sanremo 2021 rispetto a tutte le altre forme d’intrattenimento artistico e culturale è incivile, oltre che inaccettabile. Lirica e musica pop in generale sono fuorigioco da un anno”, chiosa il Professor Diego Cossu, Foniatra e Fonochirurgo di fama internazionale già al fianco di star del calibro di Bono Vox degli U2, i tenorissimi Placido Domingo e José Cura, Claudio Baglioni e moltissimi altri.

L’Italia è conosciuta e stimata nel mondo proprio per la qualità artistica del canto, fatto acclarato che tutto il globo ci invidia”, prosegue il luminare, Responsabile Foniatria presso l’Asl Torino 5. “Ci si ammala anche perché non si canta, come nel caso di tutto quell’insieme nutrito di professionisti che spendono una vita intera nell’acquisizione di competenze, dinamiche e padronanza nell’uso della voce a livello professionale, oggi costretti all’immobilismo più totale, e con il piatto e il portafoglio vuoti e senza possibilità di allenamento alcuna. E’ il caso, oltre che di tutti gli esponenti di musica leggera famosi e non, dei professionisti dei 13 enti lirici italiani vittime di una drastica riduzione delle attività. Indotti a esibirsi con la mascherina, perdendo porzioni preziose di presente e futuro”.

Infine, per il noto medico e vocologo artistico, “sarebbe una buona cosa se il CTS e l’Istituto Superiore di Sanità vedessero entrambi come noi professionisti siamo messi negli ospedali, anziché continuare a diramare normative e prescrizioni più idonee invece all’ambiente da laboratorio ovattato e sterile in cui operano per lo più consuetudinalmente epidemiologi e virologi. La vita reale è in corsia”.