E basta sparare su Sanremo. Se il gioco è questo, allora giochiamo al contrario, e difendiamo Sanremo. Se tutti attaccano, attacchiamo dalla difesa. Quale il problema? Chi non vuol Sanremo guardare faccia di meglio. Se c’è tanto di meglio da fare, avendo esaurito film e serie tv su piattaforme, se non si possono invitare a cena gli amici, se il coprifuoco alle 22 ci vieta passeggiate notturne. Ci sono senz’altro quelli che si schermiscono dalla kermesse della canzonetta e si fiondano su saggi filosofici e corazzate potjomkin, non so quanto sinceri. Benissimo, ma lasciateci divertire. Sono solo canzonette, appunto, e ben venga.



C’è bisogno come non mai di leggerezza, di distrazione, e se è stupidina, fantastico, una tantum ripulisce la testa. Sfiancata da talk  di politica che ci hanno risucchiato per mesi, da talk di esperti di pandemie globali e locali che ogni volta ci han detto che andava e andrà peggio, dai dati drammatici della malattia, dell’economia, dell’apatia di un popolo che non sorride più.



Sono risolutivi Fiorello e Amadeus? Certo che no, ma ci provano, in un anno difficile, con la testa altrove e la stanchezza addosso, senza pubblico da spernacchiare o con cui intendersi, senza passerelle, lustrini, senza ospiti di grido dall’estero, che costano troppo e hanno paura dell’Italia arancio-rossa, senza e  senza, ché pure i big italiani si sono dati per tempo, e qualcuno si dà all’ultimo, causa insorgenza positività virale.

Che potevano fare? Contare sulle loro affinità, ribaltare i copioni, tirare in lungo. Questo è il problema, tirare troppo in lungo. Citofonare autori, anche per gli sketch superflui tipo il duo conduttore-attricetta montata sul bacio; o i comprensibili cedimenti al politically correct, per cui una dose di drammi bisogna spettacolizzarla, accrescendo pesantezza. Ma pur stentando la prima sera (provate voi a parlare alle poltrone rosse), pur boicottati da microfoni fuori uso, mixer audio da licenziamento, palloncini fallici, hanno dato prova di prontezza, versatilità, maestria da vendere. Quanto alle scelte musicali, coraggiose. Sono quasi tutti giovani, giovanissimi, spopolano sul web e hanno beniamini under venti.



Tutte belle le canzoni? Affatto. Ma sono loro a vendere, a dilagare su Spotify, nelle radio. E il festival della canzone italiana doveva riesumare vecchie glorie? L’ha fatto, lo fa, perché è giusto tenere conto di un pubblico televisivo anziano. (che malinconici i botox, che tristezza l’ancheggiare nostalgico , quasi rabbioso, a rimarcare  che si è ancora sul pezzo). Ma con juicio, ché la vita va avanti e i gusti cambiano, anche gli over 60 dovranno tenerne conto. La serata delle cover è stata bella: bella musica, grandi interpretazioni, invenzioni, non semplici riproposte musicali; Lauro geniale, ha fatto quel che doveva e voleva fare, spettacolo. Inutile lambiccarsi sui testi (nelle canzoni in gara molti sono ben peggio), sui travestimenti: nulla di nuovo, ci sono stati Bowie, Freddie Mercury e Renatino, e scandalizzavano anche loro. Ma quel nulla di nuovo è ben fatto. Leggerezza, una tantum. In un paese di allenatori, e direttori artistici, qualsiasi scelta causerebbe critiche e scalpore. Lasciateci divertire. Per qualche sera, musica e qualche battuta. Ci sono fin troppi contenuti, anche al Festival. Permettere di canticchiare e scambiarsi  opinioni in chat  con gli amici fa bene quanto fare una passeggiata all’aperto. Purifica la testa. Sappiamo bene che la realtà urge, e ci sfida. Ma qualche favoletta lasciatela, anche a noi troppo cresciuti. Ogni cosa ha il suo tempo, c’è un tempo per ridere e un tempo per piangere, un tempo per cantare e uno no. 

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