La seconda serata del Festival di Sanremo inizia con le solite fastidiose autocelebrazioni dei grandi ascolti della serata d’apertura. Mentre sui social si inseguono ancora i commenti sulla cosiddetta performance di Blanco: mano a mano che intervengono sui social media giornalisti esperti di musica e spettacolo, la bilancia pende sempre di più verso l’ipotesi di una messinscena. I punti dirimenti vengono giudicati questi: 1) Blanco aveva già girato un videoclip con una scena assai simile. 2) La security della Rai presente dietro le scenografie non è intervenuta per nulla nonostante lo sconquasso che avveniva sul palco. 3) Analogamente, orchestra e gruppo rock non hanno smesso di suonare nemmeno per un secondo fino alla fine, e senza un minimo gesto di stupore. 4) Alla fine del brano il chitarrista rock sorrideva a Blanco. 5) I tecnici Rai sono noti per l’eccellenza delle riprese audio, che in passato hanno anche garantito all’azienda dei premi tecnici internazionali. Impossibile che siano incorsi in un errore così banale. 6) Blanco avrebbe potuto chiedere di interrompere e ricominciare. 7) Amadeus non è riuscito nemmeno per un secondo a simulare una sorpresa che non fosse di plastica. 8) Le piattaforme che reggevano le rose erano costituite da sottili piastre di polistirolo, facili da rovesciare e assai semplici da rimuovere. 9) Anche il Morandi in veste di collaboratrice domestica è apparso far parte di una sceneggiatura preparata.
Altro si potrebbe ancora scoprire. A me non resta che sottolineare un fatto peraltro ultranoto: ogni anno gli autori vanno alla disperata ricerca di qualcosa che crei rumore, scandalo, e faccia crescere quello che nel marketing viene soprannominato “buzz”, vale a dire il ronzio delle api. Si ritiene infatti che più sale il ronzio delle news rilanciate dai commentatori e dai social media, più possa aumentare l’interesse per il Festival e quindi l’audience della serata successiva.
Altri hanno il compito di analizzare e commentare le canzoni in gara, io mi limito a osservare il Festival nel suo complesso, anche come fenomeno sociale. Da questo punto di vista a mio parere costituisce una vera e propria radiografia dello stato dell’Italia. Un Paese in cui purtroppo prevale una sorta di complessiva medietà, semi-soffocato dalla woke culture, dal pensiero unico della fluidità, per cui ci dobbiamo sorbire sul palco, a vibrare contro le persecuzioni in Iran, ancora l’attore Gianluca Gori travestito da Drusilla Foer, nonostante i poverissimi ascolti raccolti dall’Almanacco del giorno dopo. Ma si sa, sono i gusti del direttore dell’intrattenimento della Rai Coletta, che da tempo li sta imponendo a tutti gli utenti del Servizio Pubblico. Per cui rimpiangiamo – anche per via dell’età, ahimè – la classe di Paolo Poli, Franco Zeffirelli, Lucio Dalla, solo per fare qualche esempio di amici che non hanno mai fatto della propria omosessualità una bandiera e non l’hanno mai imposta a nessuno.
Co-presentatrice della serata la giornalista Francesca Fagnani che ha anche raccolto e letto i pensieri dei ragazzi di un carcere minorile. Momento commovente, disturbato da un predicozzo su cosa lo Stato dovrebbe fare per i giovani reclusi. Mai una volta che arrivati sul palco di Sanremo non si cada preda dalla tentazione di andare oltre il proprio ruolo. Lo ha fatto anche Chiara Ferragni, nell’immancabile momento social della prima serata, affermando incredibilmente che occorre difendere le donne dalla violenza “economica”. E il pensiero corre veloce al costo delle griffe da lei promosse.
Naturalmente non poteva mancare suo marito Fedez che in collegamento dalla nave Costa Smeralda, scrive La Repubblica, “attacca Salvini senza nominarlo per le sue critiche a Rosa Chemical, ironizza sul Codacons, e strappa una foto del vice-ministro alle Infrastrutture Galeazzo Bignami, di Fratelli d’Italia”. E poi dichiara che ciò che ha cantato, detto e fatto, non è stato supervisionato dai responsabili della Rai. Un altro lampante esempio di un Servizio Pubblico in cui a comandare sono soprattutto la licenziosità ed il pensiero unico in libera uscita.
Fortunatamente c’è stato un grande momento che ci ha riconciliato con la vera anima del Festival di Sanremo: l’intermezzo canoro del trio Morandi, Al Bano e Ranieri. Con 229 anni in tre, hanno dato una sonora lezione a cantantucoli e autorucoli di oggi, intonando le loro hit più famose, accompagnati dal coro del pubblico impegnato in una costante standing ovation. Più di tanti discorsi, la loro grandiosa esibizione ha fatto comprendere che nella memoria di un Paese possono restare solo grandi canzoni e grande musica. Mentre il resto è solo rumore passeggero.
Intanto continua la sfilata di melodie in gara clamorosamente inferiori a quelle dei nostri tre grandi, mentre Amadeus persevera nell’interpretare alla perfezione il ruolo dell’uomo medio dal pensiero medio e dalla battuta media, per il quale tutto è sempre splendido meraviglioso, superlativo senza differenza alcuna. Credo che il suo successo dipenda proprio dal fatto che con la sua medietà non vi mette mai in soggezione – sa solo leggere benissimo il gobbo senza darlo a vedere e senza incespicare mai una volta in una parola difficile – e potrebbe essere il vicino di casa cui andare a chiedere un po’ di zucchero perché voi siete rimasti senza.
Il problema è che non fa solo il presentatore, ma anche il direttore artistico…e qui casca l’asino, e lo si capisce dalle canzoni in gara. Ma in questa veste c’è ben poco da dirigere, visto che si sussurra sempre più spesso che a dirigere la danza da anni siano le case discografiche, a loro volta responsabili dell’attuale livello musicale del Paese. Ma è un discorso lungo e complesso, che merita un discorso a parte. La verità di quello che affermo sta nel confronto tra la performance del trio Morandi-Al Bano-Ranieri e tutto il resto.
A notte inoltrata viene il momento di Angelo Duro, il comico che, secondo la Gazzetta dello Sport, “ha fatto dell’immoralità a 360 gradi la propria cifra stilistica”. Amadeus gonfia il petto e lo introduce come se la sua scelta di invitarlo a Sanremo sia un atto di coraggiosa indipendenza culturale. Che dire? Angelo Duro ha studiato accuratamente i famosi entertainer americani che ottenevano grande successo insultando il pubblico. Con la differenza che lo facevano nei night club, però. La sua esibizione, non priva di momenti tecnicamente sorprendenti, si potrebbe definire un concentrato di relativismo etico sublimato in una forma di aggressione sarcastica del pubblico.
Poiché tutto si tiene, potremmo sostenere che il pubblico italiano medio, avendo perso ogni riferimento morale anche grazie alla woke culture diffusa à gogò da tutte le tv e da quasi tutti i giornali, soffra oramai di una strisciante forma di masochismo, per cui non pensa più in base a una qualsiasi scala di valori.
Davvero un gran brutto momento, che anche il Festival di Sanremo riesce a sottolineare alla perfezione. Come sempre, un guizzo di verità appare in una vignetta del dopofestival di Fiorello:”Il prossimo Festival di Sanremo si farà su Onlyfans”.
Castigat ridendo mores.
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