Ogni anno, il compito di commentare il Festival di Sanremo diventa sempre più ingrato. Perché fa davvero male al cuore e alla mente sorbirsi la retorica di tutti quelli che ci campano sopra, dai vertici Rai al più sbarbato dei cronisti. In settant’anni di vita, l’evento si è trasformato da gara canora in un polpettone sempre più indigesto, che inspiegabilmente riesce a raccogliere ogni volta share da capogiro. Vale anche per Sanremo 2024.
Un po’ di spiegazioni ci sono: l’evento viene preparato con indiscrezioni, gossip, anticipazioni, da tutte le reti Rai e in generale da tutti i mezzi di comunicazione. È noto che il pubblico di RaiUno è costituito soprattutto da anziani incollati alla tv, mentre tutte le altre reti evitano accuratamente di “controprogrammare”, e i social network e le radio si scatenano nel promuovere e lanciare i cantanti giovani.
In sé è davvero un’impresa improba cucinare il polpettone scegliendo prima le canzoni da mettere in gara, e poi cercare di avere ospiti di grido, mescolare intermezzi divertenti e strappalacrime, alternando alto e basso, per non parlare della non indifferente impresa tecnica, sempre riuscita, di gestire orchestra e cantanti dal vivo con risultati del tutto eccellenti. In tanti anni ci sono stati i più diversi presentatori; per la quinta volta quest’anno c’è ancora Amadeus. Che interpreta alla perfezione il significato dell’aforisma di un indimenticabile testo di marketing, intitolato Il principio di Peter: “Ciascuno di noi, nella sua vita professionale, raggiunge prima o poi il proprio livello di incompetenza”.
Bravo presentatore, brillante conduttore radiofonico, perfetto gestore di quiz televisivi… Amadeus ha raggiunto il suo livello di incompetenza nel voler fare il direttore artistico. A nulla serve vantare i grandi ascolti per un evento che ormai potrebbe presentare anche un robot. Più interessante è osservare che nel tempo il livello della musica si è degradato, il gusto del pubblico pure, e quello degli autori dei programmi e dei conduttori… pure.
Come è stato osservato in altro articolo, Amadeus incarna alla perfezione questo triste degrado, che lui ha l’impudenza di definire meraviglioso, straordinario, splendido, sotto qualunque forma si presenti. A conferma di questo, l’intermezzo strappalacrime della seconda serata è consistito nel fatto che Giovanni Allevi è tornato a suonare sul palco dell’Ariston il pianoforte dopo due anni di sofferenze a causa di una grave neuropatia. Una storia oggettivamente commovente, raccontata però da un artista che il più grande violinista d’Italia, Uto Ughi, ha definito “un musicista risibile”. Chiunque conosca realmente la musica non può che condividere questo giudizio. Eppure Allevi ha fatto scattare in piedi, in una corale standing ovation, il pubblico dell’Ariston. Come volevasi dimostrare.
Ha salvato la seconda serata, musicalmente parlando, la presenza di Giorgia. Ma guarda: per trovare qualcosa di eccellente, si è dovuto ricorrere a una cantante che debuttò al Festival trent’anni fa. Nella scelta degli artisti in gara, poi, Amadeus mostra il suo perenne inchino al pensiero woke, scegliendo sistematicamente una maggioranza di personaggi fluidi, dall’identità incerta, tipo Big Mama, Rosa Chemical, Achille Lauro, o Mengoni (che almeno ha una gran voce). Rivelandosi sempre più fuori tempo, come stanno dimostrando i crolli in borsa di Budweiser e Disney, solo per citare i casi più eclatanti, che il pubblico dei consumatori ha ritenuto troppo insistenti con il tasto gender.
Discorso a parte merita Fiorello, che è la vera fortuna di Amadeus. Dovrebbe essere la sua spalla, ma in realtà è lui il vero mattatore capace di usare Amadeus come spalla per i suoi interventi stralunati e spesso assai divertenti (anche se tutte le ciambelle non possono riuscire col buco). Fiorello, a sua volta, fa quello che ha sempre fatto fin dagli inizi della sua carriera, vale a dire l’intrattenitore nei villaggi turistici. Nel tempo ha raffinato la capacità di improvvisare, di cogliere al volo gli aspetti involontariamente comici dell’attualità, di scherzare sui difetti dell’italico popolo ben rappresentato dalla compagnia di giro di Viva RadioDue. Riuscendo assai bene nel difficilissimo compito di sfottere un mondo di cui in realtà è parte integrante. Ciambella non riuscita è stata il far ballare a John Travolta il ballo del qua-qua. Alla fine, a parte davvero poche canzoni decenti, questo è il livello del meraviglioso, straordinario ultimo Festival di Sanremo di Amadeus.
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