Nel mare magnum delle canzoni dai testi improbabili, delle risate sguaiate replicate ad ogni battuta, dei calci sferrati alle rose, degli ospiti che cantavano quando Sanremo era ancora Sanremo (e che, perciò, sembrano pesci fuori d’acqua), delle conduttrici che fanno da spalla a conduttori veri perché se non si appoggiano a qualcuno non sanno nemmeno stare in piedi (ma balbettano comunque un’ovvietà dietro l’altra) può capitare il mezzo miracolo di veder sbocciare un fiore che non t’aspetti.
Il breve monologo (poco più di cinque minuti) con cui Francesca Fagnani ha rotto l’incantesimo del nulla nel bel mezzo della seconda serata al Festival della (ex) canzone italiana, ha avuto il merito di andare controcorrente.
La giornalista televisiva, conosciuta soprattutto per il programma Belve dapprima su Canale Nove e poi su Rai2, non si è imposta tanto per la bella presenza e la scollatura disegnata dal luccicante vestito firmato Armani, ma perché aveva in testa di parlare ad almeno un telespettatore su due (così le rilevazioni Auditel) di educazione. I ragazzi rinchiusi nel carcere minorile di Nisida, ultimo lembo della collina di Posillipo dove la bellezza è di casa (e già qui il contrasto fra l’infinito del mare e il finito delle celle parla di una contraddizione evidente), che la giornalista ha intervistato per il suo lavoro, hanno parlato agli spettatori del Festival di temi importanti come la scuola (quella frequentata senza successo e quella rimpianta dopo essere finiti in manette), l’ emarginazione (“non siamo belve per sempre”) e quindi la dispersione scolastica, la voglia di riscatto, la povertà educativa.
Un monologo che, in pratica, è stato scritto a tante mani dai giovani detenuti privi di titolo di studio (15, 16, 17 anni, fino alle soglie della maggiore età) insieme alla giornalista con laurea alla Sapienza. “Avessi potuto, sarei andato a scuola” le ha detto uno di loro. Chi è “dentro” vorrebbe riaprire i libri e chi è “fuori” vorrebbe chiuderli: un insegnamento per tanti nostri studenti che non vedono nello studio (non sempre per colpa loro) un mezzo di riscatto, ma una prigione. “Lo Stato dovrebbe essere più sexy dell’illegalità” ha detto la Fagnani, e qui è scivolata sulla buccia di banana della banalità che vede negli insegnanti dei carnefici invece che, a volte e sempre più spesso, delle vittime (proprio ieri il ministro dell’Istruzione e del Merito ha detto che lo Stato difenderà – era ora – in tribunale i docenti che dovessero subire violenza da parte dei loro studenti).
Ma va bene anche così: il fiore sbocciato d’improvviso sul palco di Sanremo, “città dei fiori” per eccellenza, il giorno dopo in cui uno pseudocantante in cerca di notorietà ha calpestato per capriccio e ignoranza delle rose, ha sparso un bel profumo di fresco in sala e nelle case. Poi è tornata subito la cappa di chiuso delle canzoni dai testi incomprensibili, delle risate sguaiate, degli applausi che non si negano, ahimè, a nessuno. Ma questo è un discorso che lasciamo volentieri ad altri. Per cinque minuti, il Festival è valso la pena.
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