L’introduzione è affidata al Baglioni di Acqua dalla luna, uno dei suoi episodi più scintillanti e immaginifici, tra fiaba e realtà popolare, alte aspirazioni e marginalità da reietti del panorama umano. L’età si sente sulle intonazioni incerte delle frasi perentorie della strofa in tonalità medio-bassa, l’incomparabile classe nel resto dell’interpretazione. Voto 8



Virginia Raffaele rispolvera con una breve citazione la sua gag della bambolina con la voce sbilenca, suo cavallo di battaglia dei primi anni, al tempo con un timbro simil-elettronico, qui con un più classico parlato sgualcito tipico degli esemplari a pila per le fanciulle dei primi anni ‘70.

Federica Carta, Shade e Cristina D’Avena – Senza farlo apposta Canzone dalla melodia carina con un inserto rap fortemente innocuo e un ritornello a pronta presa che non lascia scampo (il diminuendo a-a-a che lo chiude è un escamotage di quelli che possono rendere viralmente vincente un singolo). Pessima l’intonazione della D’Avena nell’entrata del refrain, ma la diva delle baby songs si riprende con una certa classe nel seguito. La Carta è una Michielin in carta velina, l’effetto è un misto di imbarazzante e tenero che finisce per far centro. Voto 6



Motta e Nada – Dov’è l’Italia

Voce che al momento non riesce ad affrancarsi dal birignao di certo indie da sobborgo sul quale il nostro si adagia con le vocali accentuate in maniera a tratti irritante, al bravo autore toscano servirebbe acquisire una maniera forte e fuori dai cliché che al momento latita. Nada offre come sempre un’interpretazione squadrata, grintosa e di gran spessore che fa decollare una canzone di buon livello dall’ottimo gioco armonico e dall’arrangiamento vivace. Voto 7

Irama e Noemi – La ragazza con il cuore di latta

Uno dei tanti rap adolescenziali e languidi, rinforzato dall’arrangiamento che unisce inserti gospel un po’posticci al refrain banalotto, il tutto sotto il comodo espediente del tema scottante, la voce rock-blues rugginosa di Noemi, al contrario di Nada, al momento non vanta una personalità tale da risollevare o rivalorizzare le sorti di una canzone che si attesta su un’ordinaria orecchiabilità. Voto 5



L’unico ospite musicale previsto per la serata è il Ligabue della nuova Luci d’America. Da presunto rocker della provincia genuina autoreferenziale, a cantautore opportunamente riconvertito con i necessari adeguamenti a suon di riffoni tastieristici in quota international pop. Eppure il tutto risulta quasi più piacevole di tante sue consunte tiritere da wannabe. Il ritorno alla normalità viene preceduto da varie gag con false partenze di riff da Balliamo sul mondo, entrate con finte chitarre giganti, baracconate con sottofondo di Queen. In ogni caso Urlando contro il cielo è uno dei suoi episodi più che apprezzabili pur nella diminuita potenza del ruggito di un tempo. L’omaggio a Guccini di Dio è morto nel duetto d’obbligo con Baglioni, non va oltre un grigio amarcord di prammatica, sparando chitarre al massimo senza una logica particolare. Voto 6

Patty Pravo, Briga e Giovanni Caccamo – Un po’ come la vita

Un duo apparentemente impossibile, eppure tutto questo gap generazionale si traduce in una pagina piuttosto ispirata con un soffio struggente che aleggia sullo sfondo, ben interpretata anche da una Pravo quasi rediviva dopo essere ritornata al presente dal 1918. In una canzone ben scritta anche il piglio confidenziale ordinato di Giovanni Caccamo (autore a oggi di poco peso) segna un passo avanti. Voto 7

Negrita, Enrico Ruggeri e Roy Paci – I ragazzi stanno bene

Tutta la retorica del rock urbano e stradaiolo formato cartolina si compatta nella modesta proposta del gruppo toscano, qualcosa che oggi fa sorridere per pervicacia e ingenuità. Le tinte scure della voce di Ruggeri e quelle metropolitane un po’waitsiane di Roy Paci suonano posticce, confermando la difficoltà di frapporre piccoli giochi di prestigio a una canzone che semplicemente non c’è. Voto 5

Il Volo e Alessandro Quarta – Musica che resta

Come nell’evoluzione bocelliana, questa brigata di tenori un po’da cartoon si evolve mescolando canto pop con variazioni liriche di prammatica, ma la melodia non potrebbe essere più ordinaria. Qui non troverete nessuna nuova Con te partirò, solo un esercizio stiracchiato di culturismo dell’ugola per un contenuto traballante. Il tutto aggravato dall’iniezione di crossover classico della performance pseudo-paganiniana dell’ospite. Voto 4

Arisa con Tony Hadley – Mi sento bene

Un inizio finto lento nello stile abusato dell’interprete si trasforma in un pop-dance frizzante, chiassoso e anonimo con una citazione tronca di Dio è morto. Un diversivo che tentando di tirare fuori l’artista dai soliti cliché (il bel canto senza scossoni), finisce per affossarla. Il duetto bilingue con l’eccellente Tony Hadley che un po’ è lui un po’ Oliver Hardy, rende il tutto disastroso oltre misura. Imbarazzante. Voto 4

Mahmood e Gué Pequeno – Soldi

Hip hop con iniezioni soul, bel piglio ritmico e un motivo di gran presa che fa decollare i collegamenti vocali prima di adagiarsi tra belle fasi musicali sospese, ironia pungente, rabbia e leggerezza, imbucate di handclap, interpretazione autorevole e tostissime aggiunte di Pequeno. Meglio di così non si può. Voto 8

Ghemon, Diodato e Calibro 35 – Rose viola

Il target in questo caso è mixare rap con r’n’b e soul, l’impressione è quella di colori caldi e accesi, pennellati con una certa incisività. La voce di Diodato fa il suo bene, il souling di Ghemon alternato al rappato va più a corrente alternata, accompagnamento e arrangiamento dei Calibro 35 (di solito molto più cerebrali e algidi alle prese con il loro repertorio) fanno volare il pezzo. Voto 7,5

Francesco Renga, Bungaro e le étoile Eleonora Abbagnato, Friedemann Vogel – Aspetto che torni

Canzone arrangiata con un certo tocco di classe, purtroppo non supportata da scrittura di verso e ritornello che si mantengono nei binari dell’ordinarietà senza sussulti particolari. Interprete valido, duetta bene con l’autore sempre encomiabile anche se non all’altezza delle uscite di un tempo, la coreografia pur avvalendosi della presenza dolcissima e incantevole dell’Abbagnato non svetta nel contesto. Voto 6

Ultimo e Fabrizio Moro – I tuoi particolari

Canzone semi-melodica semi-rap, di quelle cosette che fanno tendenza e audience da un po’ di tempo a questa parte. L’ospite un po’sguaiato appare adeguato al target banale. Voto 5

Nek e Neri Marcorè – Mi farò trovare pronto

It pop, un po’elettro un po’rock, dal riff distintivo per una canzone dalla linea melodica accattivante e ben confezionata e una interpretazione sicura e autorevole del cantautore modenese, come da un po’ di anni a questa parte. La versione proposta in questa serata di duetti diventa una resa piano, voce e orchestra di buona intensità tipo certe rivisitazioni dell’ultimo Cremonini, con il bel recitato di Marcorè. Voto 6,5

Bommdabash, Rocco Hunt e i Musici Cantori di Milano – Per un milione

Pop-reggae-rap acustico dal motivetto immediato banale anziché no, con l’abusato rappettino come inserto, ma l’aura da tormentone sembra destinata a far decollare la canzone nelle classifiche. Il profilo retorico, rinforzato da Hunt e dall’ospitata del gruppo di fanciulli, appare adeguato allo scopo. Voto 4

Zen Circus e Brunori Sas – L’amore è una dittatura

L’alternative al vetriolo viene portato sul palco del Festival. Interpretazione che tiene insieme rabbia, chitarre ed elettronica, arrangiamenti che tentano di animare una canzone alquanto latitante sul versante della scrittura. Il duetto con Brunori appare oltretutto un po’sfasato nelle due diverse espressività non riuscendo a tirare su le quotazioni. Voto 5,5

Paola Turci e Beppe Fiorello – L’ultimo ostacolo

Entra quel timbro unico che pennella scorci e prospettive meravigliose, che cattura e inebria, la canzone è un altro piccolo pezzo di maestria del pop-rock melodico di gran classe, astuzia forbita con un gran senso del riciclo virtuoso di melodie ed espedienti canori. Un briciolo di sincera tenerezza per una Turci che forse per la prima volta denuncia momenti di incertezza e un senso di sforzo legato al passare del tempo. Quanto all’ospite siamo sulla sponda opposta rispetto al caso Negrita. Beppe Fiorello non fa decollare particolarmente ciò che è buono di suo, né fa danni. Voto 7,5

Anna Tatangelo e Syria – Le nostre anime di notte

La voce è migliorata ormai da tempo, il corpo del canto non ha nulla a che vedere con l’intonatino tutto di testa degli esordi, la canzone si attesta dalle parti dell’orecchiabilità ordinaria e indistinta, vagamente carina ma difficilmente destinata a un ricordo duraturo, la brava Syria è adeguata al tipo di melodia e comunque le rende giustizia con il consueto garbo di alto profilo. Voto 6

Ex-Otago e Jack Savoretti – Solo una canzone

Media inglese (nel senso di vittoria in casa e pareggio in trasferta) tra Carboni, Vasco Rossi, Steve Rogers Band e altri esponenti della ballata melodica a cavallo tra pop e rock nostrano, quello delle tenere imbucate di cui solo i vitelloni gaudenti e immarcescibili sono capaci. La melodia ha un ritornello spiccatamente radiofonico che si attacca alla mente. Savoretti ininfluente. Voto 6

Enrico Nigiotti, Paolo Jannacci e Massimo Ottoni – Nonno Hollywood

Come nel caso di Irama, it-pop rap melodico con eccesso di miele e un carico di pretese sociali, ma con modesta incisività. L’accompagnamento raffinato di Paolo Jannacci con il suo immaginario di jazz da night d’altri tempi offre qualche appiglio, Ottoni non pervenuto. Voto 5

Loredana Bertè e Irene Grandi – Cosa ti aspetti da me

Citazione (canora) di striscio di Non sono una signora nell’incipit, arrangiamento tosto per una scrittura enfatica e scandita a dovere secondo il paradigma tipico e migliore del Curreri autore di melodie larghe, popolari che rendono senza tempo un certo modo di mettere insieme voci e tematiche derivate dagli anni ‘80. Interpretazione ottima che valorizza questa terza giovinezza della Bertè. Una canzone così è un autentico invito a nozze per il graffio sonoro della Grandi. Voto 7,5

Daniele Silvestri, Rancore e Manuel Agnelli – Argento vivo

Brano di spessore con variazioni e zampate sonore di alto profilo (l’onnipresente Enrico Gabrielli dei Calibro 35) classico e al contempo inconsueto patchwork di rap recitativo e urbano. Perfetto il già presente Rancore, Agnelli violenta il tutto con un intervento enfatico e un po’cacofonico. Voto 7

Einar, Biondo e Sergio Sylvestre – Parole nuove

Elettro pop in salsa adolescenziale che si crogiola negli stereotipi, ammiccando facili sentimenti e benevolenza del pubblico femminile in cerca di take away emozioniali. I suoi compari danno il loro apporto quanto a banalità, dal soul sdolcinato di Sylvestre al rap tutto autotune di Biondo. Voto 4

Simone Cristicchi ed Ermal Meta – Abbi cura di me

La miglior prova ad oggi di Cristicchi. Rap recitativo, linea melodica d’autore a fuoco lento che coniuga senso del dramma e sobrietà, crescita a livello di scrittura e interpretazione. Magistrale il duetto con un Ermal Meta ancora in cerca di una sua dimensione d’autore ma capace di notevole profondità interpretativa. Voto 7,5

Nino D’Angelo, Livio Cori e Sottotono – Un’altra luce

Canzone di una certa intensità che rende contro di vita vera passando sotto la lente di differenti esperienze e generazioni sentimenti sinceri e consolidati, per una intesa tra i due interpreti in crescita dopo le difficoltà della serata inaugurale. In una canzone piena di riferimenti poliritmici ed etnici i Sottotono navigano con agio. Voto 7

Achille Lauro e Morgan – Rolls Royce

Rappettaro urbano fieramente sguaiato di quelli che alternano fasi canore a semi-parlato, autotune, schizzetti rock nazional popolare con tanto di ritornello strapaesano acchiappaconsensi. Quel che resta di Morgan sembra trovarsi alla perfezione nel contesto. Voto 5

Decisamente poco riuscito il duetto comico Baglioni-Raffaele che finisce per penalizzare il talento della showgirl romana. Piuttosto prevedibile anche l’intermezzo a base di impegno sociale di Bisio con il rapper Anastasio.

La vittoria della serata va a Motta con Nada.