All’una meno cinque la sala del Teatro Ariston è in rivolta: fischi e urla testimoniano un forte disappunto per le esclusioni non gradite e la selezione finale a opera delle tre giurie. Sono rimasti in gara Ultimo, Il Volo e Mahmood. Si rifà il televoto, e vince la canzone “Soldi” con grande sorpresa dello stesso Mahmood. È una sorta di rap a sfondo etnico-sociale, probabilmente il meno peggio di quelli ascoltati al Festival, visto che dietro c’è anche Charlie Charles, ritenuto un guru del genere.



All’inizio della serata conclusiva del Festival numero 69, il vostro vecchio Yoda – già testimone della prima edizione – si sentiva piuttosto scarico. Tutto il solito can-can giornalistico gli era già parso una partitura stravista e ingiallita, con i soliti schieramenti pro (molti) e contro (pochi). Unico nota curiosa, due critici noti e competenti che hanno dato voti assai alti a Manuel Agnelli e Morgan: diventati improvvisamente incomprensibili fan di due scadenti para-rockettari “de noantri”. Non riusciva a capire nemmeno il giudizio di Costanzo, che riteneva migliorato il livello musicale rispetto all’anno scorso.



Oltre che a fidarsi delle proprie lunghe e sperimentate orecchie, a Yoda è bastato invece dare un’occhiata a cosa passava in rete per capire di essere tutt’altro che solo. E si è convinto non trattarsi di una questione di età, ma di un fatto prettamente tecnico. Centratissimo un giudizio che diceva: “Ma le canzoni le ha scritte tutte lo stesso autore?”. Infatti, il format scelto è parso praticamente uno solo: introduzione parlata a bassa voce, strofa introduttiva a un ritornello quasi mai memorabile, finale ancora parlato o con qualche raro tentativo di volare. Di rincalzo, un altro: “Baglioni dormiva durante le selezioni?”, a cui si rispondeva con la polemica del conflitto di interessi (subito dimenticato e insabbiato da tutti gli organi di stampa) per il fatto che cantanti e ospiti appartengano in gran parte alla casa discografica di Baglioni e alla società del suo manager.



La questione tecnica risiede nel fatto che la lingua italiana proprio non si adatta a “rappare”, obbligando gli autori a rime e metriche banali e del tutto simili, spesso assurde e persino cacofoniche. E a fronte di un testo con qualche non disprezzabile pregio poetico, qualcuno si è chiesto, e a ragione, cosa c’entrasse un buona poesia più parlata che cantata con la canzone italiana. Quindi in definitiva, musicalmente parlando, per quanto riguarda le canzoni in gara, a Yoda il Festival 2019 è parso piuttosto moscio. E ha provato anche pena per i malriusciti tentativi di inseguire il pubblico giovane, con canzoni e performance di rockettari da salotto che in realtà aspirerebbero agli abissi oscuri di Sfera Ebbasta, ma si sono dovuti censurare causa Sanremo, limitandosi al massimo ad alludere sibillinamente ai tanti significati di Rolls Royce (auto/droga).

Non è dato poi capire su cosa si basi la trionfale affermazione di Baglioni, “Abbiamo raccolto un pubblico più giovane”, visto che secondo i dati riportati da TV Zoom l’età media degli spettatori del Festival è stata di 54 anni! Ancora più curiosa per non dire stupefacente, un’altra dichiarazione del sedicente “dirottatore” artistico: “È un punto di orgoglio aver potuto lavorare grazie alla missione della Rai, che aveva messo in conto, pur sapendo che il cammino si poteva rivelare arduo, di aprire dei varchi all’espressione giovanile. Spesso esiste un tappo nei confronti della loro voglia di dire. Qualche volta si parla di vuoto generazionale – ha detto Baglioni – credo invece ci sia troppo pieno. Una persona giovane non riesce a entrare da nessuna parte. I luoghi sono riempiti dall’esperienza dei loro predecessori che rinunciano malvolentieri a essere spodestati”.

Ecco, il vostro Yoda pensa che non esistano limiti all’impudenza. Proprio perché oltre a Baglioni, ultrassessantenne, gli ospiti erano quasi tutti “predecessori” dei cantanti in gara, e a loro è andato inoltre il merito di aver elevato il livello musicale di questo Sanremo. A dimostrazione che i miseri tentativi di rappare non fittano con l’idioma italico, è stato davvero interessante vedere su Rete 4 a tarda sera, dopo la prima puntata, un vecchio film in bianco e nero, Il treno della canzone, con Tino Scotti nella veste di capotreno di un convoglio che ospitava le esibizioni di Modugno & C. Tutti motivi che dopo un attimo ti rimanevano subito in testa al punto di fischiettarli il giorno dopo facendoti la barba, che Guareschi affermava essere la chiave per capire le potenzialità di successo di una canzone. L’affermazione di Baglioni è ancora più insopportabile se si pensa, a parte il giusto compenso come direttore artistico, al rumore della scarica di monete d’oro della slot machine della Siae che gli risuonava in testa ogni volta che si apprestava a cantare o a far cantare agli ospiti un suo vecchio successo. Ma tant’è: la polemica sul conflitto di interessi è stata subito azzittita, e così, dopo essersi “magnato tutto er cucuzzaro”, come dicono a Roma, con la sua sempre più inespressiva espressione alla Max Headroom che è circolata subito in rete, s’è già lasciato scappare che potrebbe anche tornare.

I meno giovani ricorderanno che Max Headroom fu protagonista della prima serie televisiva a tema ciberpunk nel 1987-88, e la sua era una maschera sempre al limite di una distorsione controllata. Andate a rivederla e capirete. Distorsione che è arrivata a tollerare (o ricercare, on y soit qui mal y pense) veri e propri suicidi di alcune star di un tempo. Come non condividere in proposito il lucido e amareggiato commento su Il Messaggero di Concita Borrelli a proposito della performance di Patty Pravo e non solo? “Ma pensarti quando, come una Kate Moss ante litteram, cantavi, fumavi, ti muovevi dal Bandiera Gialla alla Capannina e giocavi con la vita e gli uomini con la spregiudicatezza della tua bellezza bionda, magra, elegante senza tabù e con una gran voce. E invece, bambola che tutte avremmo voluto somigliarti, ti sei data a picconate per non lasciarti al tempo che passa e allo charme che un’artista ha di default nelle rughe… E dei tuoi 70 anni ne hai fatto maschera. Nella quale le splendide 70enni di oggi non si riconoscono perché loro sono più agili e più mobili. E quando una maschera bacia un’altra maschera, la platea sorride cattiva. Con Ornella Vanoni, tua amica e cantrice impareggiabile di amori maledetti, avete ammazzato per sempre il Pensiero Stupendo che avevamo di voi”. Ineccepibile, pura e amara verità.

A parte queste considerazioni sulle scelte musicali, Yoda deve ammettere che rendere commestibile per 4 serate una mappazza di 24 canzoni (oltretutto modeste, a parer suo), consentendo pure alla Rai di fare una cospicua raccolta pubblicitaria, non è mica da tutti. Non crede nemmeno che il pubblico abbia saputo apprezzare la bravura dell’orchestra e dei tecnici in esibizioni dal vivo senza una sbavatura (e questa è la migliore tradizione della vecchia Rai). Complessivamente la presentazione è stata sobria, veloce e garbata, grazie a Claudio Bisio e a Virginia Raffaele, che si sono pure limitati a gag già vecchiotte, e negandoci forse per questioni di tempo, le strepitose imitazioni di Virginia. Quindi, il loro merito è ancora maggiore se si tiene conto che i testi erano spesso modesti, al punto che molti sulla rete li hanno definiti “da oratorio di periferia”.

Ebbene, alla fine sembra tutto un paradosso, visti gli ascolti comunque alti, anche se non al livello degli altri anni. C’è allora da chiedersi come mai quasi 10 milioni persone si accontentino di un po’ di amarcord, di qualche finto rock, di testi e melodie modesti. A Yoda viene in mente una risposta: anche gli elettori dei 5 stelle sono stati all’incirca 10 milioni o poco più. Che siano gli stessi cui piacciono l’aurea mediocritas di Toninelli, della Castelli e di Di Maio?