Nel giro di un paio di anni Lucio Dalla sarebbe morto, improvvisamente, la mattina dopo un ultimo concerto in Svizzera, a Montreaux, ma allora nessuno lo sapeva. Era invece in corso uno spettacolo straordinario, la reunion poco più di trent’anni dopo, del cantautore bolognese con l’amico Francesco De Gregori, dopo i fasti del Banana Republic Tour del 1979. Adesso andava in onda il Work in Progress Tour, i due amici di nuovo insieme sul palco. Questa volta invece di suonare ognuno le proprie canzoni, se le scambiavano. Il divertimento era palpabile. A un certo punto Lucio Dalla cominciò a suonare i tasti del pianoforte, assorto in una melodia, per poi interrompersi. “La prima volta che ascoltati questa canzone” si mise a raccontare “ero in macchina, stavo guidando. Dovetti fermarmi, incantato. Era troppo bella. Dovetti accostare e ascoltarla tutta con il cuore gonfio di meraviglia, è una delle più belle canzoni di sempre. In effetti Santa Lucia, pubblicata da De Gregori sul disco Bufalo Bill del 1976, è una canzone stupenda, commovente. Una melodia dolcissima, pianistica, scarna, un testo che parla al cuore di tutti, quelli che hanno un cuore ferito e si fermano a pensare alla vita. E’ un augurio per i piccoli e i perdenti. E’ una preghiera laica, universale, per tutti, splendida senza cadere mai nella retorica, ricca d’immagini evocative e commoventi. È dedicata a coloro che non vedono le cose evidenti, le cose importanti, vincitori e vinti, ritratti con uno sguardo amorevole e dolce. È la canzone dei vinti, dei disperati che però non si arrendono mai. È la richiesta di aiuto, a qualcuno, lassù in alto.
Santa Lucia,
per tutti quelli che hanno gli occhi
e un cuore, che non basta agli occhi.
E per la tranquillità di chi va per mare,
e per ogni lacrima sul tuo vestito,
per chi non ha capito.
E’ una canzone di chi vive con l’ansia di sapere di più, che non si accontenta, sbaglia e ricomincia e sbaglia ancora a ricomincia ancora.
Santa Lucia,
per chi beve di notte e di notte muore e di notte legge
e cade sul suo ultimo metro.
Per gli amici che vanno e ritornano indietro,
e hanno perduto l’anima e le ali.
Per chi vive all’incrocio dei venti
ed è bruciato vivo.
Per chi nella vita ha poche certezze e tante domande, e soffre e sanguina, per chi rifugge da chi vuole cancellare la fantasia.
Per le persone facili, che non hanno dubbi mai,
per la nostra corona di stelle e di spine.
Per la nostra paura del buoi e della fantasia.
E’ un augurio per tutti coloro che camminano a fatica, perché la fatica sia una buona fatica e anche la solitudine non sia la morte, ma sia una dolce compagnia.
Santa Lucia,
il violino dei poveri è una barca sfondata,
è un ragazzino al secondo piano,
che canta, ride e stona,
perché vada lontano, fa che gli sia dolce,
anche la pioggia nelle scarpe,
anche la solitudine.
Così la commentò il suo autore: “Mia madre, che è leggermente miope, quando cercava qualcosa e non riusciva a trovarla, quando la trovava diceva ‘Santa Lucia, santa Lucia, non l’avevo vista’. La canzone è nata così, questa è una canzone per tutti quelli che non vedono. Non capisco perché debbo vergognarmi di aver usato questa mediazione cattolica. Se le critiche sono rivolte solo al fatto che si nomina una santa, non me ne vergogno. Poi si può dire che faccio delle canzoni commissionate dal Papa, nessuno è al di sopra di ogni sospetto” (Santa Lucia è invocata come protettrice della vista a motivo dell’etimologia latina del suo nome (Lux, luce).
Da quando Lucio Dalla è morta, Francesco De Gregori conclude sempre il brano fischiettando Come è profondo il mare di Dalla, un sentito ricordo dell’amico scomparso.