Siamo nel mezzo dell’estate più difficile del secolo, o forse della più difficile di sempre: quella dopo i mesi di un lockdown che speriamo non si ripeta più anche se ogni tanto, pensando al futuro, riprende forma tra i nostri incubi. La stanchezza che ci dobbiamo togliere non è quella di un anno normale ma è il bisogno di pace, soprattutto interiore, che prende le distanze dalla morte.



Ora più che mai la strada da percorre è quella della contemplazione, sapendo che la bellezza non è solo quella del creato ma soprattutto quella delle relazioni. Tra esse, un cristiano deve ricordare di annoverare anche le relazioni con i santi, di coloro cioè che ci hanno preceduto nella vita in Cristo e che nutrono le nostre radici.



Visto che la cronaca di metà agosto ci lascia un po’ tranquilli, desidero oggi soffermarmi brevemente sulla storia di due santi, ai più sconosciuti ma che, come si vedrà, hanno davvero molto da dire alla Chiesa di oggi. Mi riferisco ai martiri Ponziano ed Ippolito, che abbiamo festeggiato assieme pochissimi giorni fa, il 13 agosto, con una umilissima memoria facoltativa, ovvero ciò che nel mondo della liturgia è il modo minimo di ricordare qualcuno.

Siamo nel III secolo, nei primi decenni del 200 d.C., e la loro vicenda è strettamente legata ma non nel modo pacifico che si potrebbe ipotizzare quando non la si conosce. Ippolito era un presbitero oltremodo moralista e rigorista che entrò in collisione con il Papa di allora, san Zeferino. Non sono chiari i motivi dei contrasti che in parte erano di origine dogmatica sulla natura di Cristo (i concili che l’avrebbero chiarita non si erano ancora tenuti) e in parte anche sulla possibilità di riammettere nella comunità i cristiani che avevano abiurato sotto tortura (i cosiddetti lapsi).



La tensione esplose quando, alla morte di Zeferino, venne eletto come Papa san Callisto, uomo dalle umili origini e diacono del pontefice precedente. Ippolito non accettò la nomina e, eletto dai suoi seguaci, si costituì papa a propria volta, divenendo così il primo antipapa del cristianesimo. Alla morte di Callisto venne scelto Ponziano, che Ippolito si affrettò a non riconoscere per le stesse ragioni. Arrivò il 235 e con esso l’avvento al potere di Massimino il Trace, imperatore avverso al cristianesimo che, appena ne ebbe l’occasione, condannò Ponziano ai lavori forzati: ad metalla, le miniere della Sardegna.

Ponziano, mosso da umiltà eroica, per non lasciare senza vescovo Roma, rinunziò al suo incarico, arricchendo così il secolo, oltre che del primo “antipapa”, anche del primo papa “rinunciante”. Dopo poco l’imperatore, che non era in grado di distinguere tra papi ed antipapi, condannò alla stessa pena anche Ippolito, che incontrò quindi Ponziano nelle catene. E qui avvenne il miracolo. Colpito dall’umiltà, dalla pazienza e dalla mansuetudine di Ponziano, Ippolito si convertì riconoscendo l’errore e ricomponendo lo scisma. Entrambi morirono in seguito ai maltrattamenti e alle condizioni disumane subite, e da allora la Chiesa li festeggia e celebra assieme come santi e martiri.

Il passato dei santi può fornirci molte lezioni. Un eccesso di rigore e di certezze nel credere di sapere, anche dettate dalla più perfetta buona fede, possono dividere più che unire e possono indebolire la Chiesa invece che rafforzarla. Soprattutto, nel cristianesimo, è più convincente la debolezza che la forza. Ponziano è strumento della Grazia non perché si aggrappa al potere ma perché vi rinuncia, mettendo in pratica l’insegnamento di Cristo che chiede a chi vuol governare davvero di essere servo di tutti.

Un’ultima lezione è forse la più commovente. Ippolito, che in nome della verità si era costituito nemico di Ponziano, trova il bene dell’altro all’interno di un sentiero di dolore che accomuna entrambi. Solo attraverso la croce è possibile vedere chi è ciascuno. Solo camminando insieme in quell’ospedale da campo che è la Chiesa nella vita vera, è possibile conoscersi, riconoscersi ed aiutarsi a costruire quel Bene che è il patrimonio e il desiderio di ogni cuore umano.