Tra le sanzioni contro Putin torna in auge l’embargo al gas russo da parte dell’Italia e, forse, dell’Europa. Dal momento che la proposta arriva da Mario Draghi, l’ideologo del congelamento della valuta estera presso la Banca Centrale Russa, così come pubblicato dal Financial Times e poi confermato dallo stesso premier italiano, l’ipotesi è che l’embargo posso diventare una strategia di guerra economica internazionale.



L’economia di guerra anti-russa voluta dall’Europa

Il programma economico “anti-russo” ideato dall’Unione Europea, prevederebbe come primo passo lo stop al petrolio russo, perché più facilmente sostituibile. Solo successivamente sarà la volta del gas. Ma quanto le imprese italiane e le famiglie saranno davvero al riparo da danni collaterali? Per quanto inciderebbero sulle famiglie e sulle imprese, qualora le sanzioni venissero attuate?



Molti indicatori suggeriscono che l’attuazione delle sanzioni sono già previste e popolano minacciosamente l’orizzonte degli eventi: ce lo dicono le recenti dichiarazioni del segretario della Nato, Jens Stoltenberg, che recentemente ha impressionato tutti dichiarando che la guerra durerà “mesi, forse anni” e ce lo dicono le dichiarazioni di Mario Draghi che, ieri, durante la presentazione del DEF, il Documento di Economia e Finanza, ha ipotizzato uno scenario migliore ed uno peggiore considerato “più probabile” e, dinanzi all’ipotesi di pace tra Russia e Ucraina? Risponde alla domanda con un’altra domanda: “rinuncereste alla pace o ai condizionatori accesi?”. Insomma, è l’Italia che deve decidere se percorrere una di quelle due strade: nessuna ipotesi di trattativa con il “teppistello di Mosca“, che pure ci offre quasi 21 miliardi di metri cubi all’anno.



Sanzioni: quanto peserebbe l’embargo per l’economia di Mosca

Ma quanto peserebbero davvero le sanzioni sulle casse della Russia? Questo si può stabilire solo stimando la produzione di gas russo ogni anno che, attualmente, ammonta tra 600 e 700 miliardi di metri cubi. Di questa mole di gas prodotta da Mosca, il 66% circa viene usato per il consumo interno e la restante parte viene venduta all’estero. Benchè già un anno fa la Russia avesse leggermente ridotto la fornitura di gas ai paesi europei, questi costituiscono i clienti più esigenti, importando il 70% del suo gas per un totale che si aggira tra i 170 ed i 200 miliardi all’anno. Una parte minima viene invece destinata ad alcuni paesini satellite dell’ex Unione Sovietica: Kazakistan, Armenia, Tagikistan e Uzbekistan.

Le riserve russe sono davvero immense: circa 47,8 mila miliardi di metri cubi sarebbero contenuti nel giacimento naturale a dell’Urengoy. Una quantità impressionante che potrebbe fare molta gola agli Stati Uniti che, in fatto di giacimento mondiale di gas, segue la Russia di ben 5 posizioni. I valori espressi in mille miliardi di metri cubi infatti, vedono la Russia al primo posto, seguita da Iran, Qatar e Turkmenistan:

  • Russia: 37.4;
  • Iran: 33,99;
  • Qatar: 23,8;
  • Turkmenistan: 13.6;
  • Stati Uniti: 12.6;
  • Venezuela: 6.3;
  • Arabia Saudita: 6.0;
  • Emirato Arabi Uniti: 5.9

Ma tra i paesi maggiormente produttori di gas, vediamo in pole position proprio gli Stati Uniti, con una produzione di 766.200 milioni di metri cubi all’anno contro i 635,500 milioni della Russia.

Di questi 600-700 miliardi di metri cubi prodotti annualmente, la Russia ne sfrutta il 66% per la domanda interna. La restante parte viene esportata attraverso vari gasdotti, alcuni diretti verso occidente, altri verso est. In Russia, e più generalmente nella regione eurasiatica, l’azienda leader nel settore delle esportazioni di gas è la Gazprom, che con l’Italia ha contratti con Eni e con moltissime altre multinazionali europee.
All’Europa vanno dai 170 ai 200 miliardi di metri cubi, che corrispondono al 70% del gas destinato alle esportazioni. Ne consegue che, almeno per il momento, gli europei sono vitali per la Russia.

Il peso della Cina sull’efficacia delle sanzioni

È noto tuttavia che la Cina sta tentando di rendersi più indipendente dai Paesi che fanno parte dell’alleanza Quad, Quadrilateral security dialogue, vale a dire un’alleanza strategica informale formata da Australia, Giappone, India e, immancabilmente, gli Stati Uniti . Neanche a dirlo, l’unico obiettivo dell’alleanza indo-pacifica è limitare l’espansione economica della Cina nella regione orientale del pianeta. Ed è qui che Cina e Russia trovano un punto d’incontro. I due paesi hanno portato avanti gli accordi per le costruzioni di nuove infrastrutture, capaci di sopperire al fabbisogno cinese, anche questo immenso, che fosse in grado di sostituire l’energia prodotta dal carbone.

Quindi la Cina ha firmato un accordo di fornitura a lungo termine di gas con Gazprom mediante la compagnia petrolifera CNPC, controllata dal governo cinese. Tuttavia non sono chiare le tempistiche di realizzazione: secondo quanto affermato dal Reuters il contratto dovrebbe avere una durata trentennale ed i primi flussi dovrebbero partire tra due o tre anni. Quindi Cina e Russia si danno appuntamento al 2025, un tempo troppo lungo da aspettare per il paese che ha 11 fusi orari e troppo lontano anche per il pianeta che, costantemente, chiede alla Cina di ridurre le emissioni impegnandosi a sostituire il carbone.

L’accordo tra Cina e Russia prevede la fornitura di 48 miliardi di metri cubi all’anno. Di questi 10 miliardi saranno spediti attraverso l’isola di Sachalin, vale a dire mediante il gasdotto Sachilin-chabarovsk-vladivostok, che però attualmente necessita di manutenzione in quanto può fornire 8 miliardi di metri cubi all’anno che dovrebbero aumentare fino a 30.
La restante parte invece dovrà essere direzionata verso la Siberia, vale a dire nella ramificazione denominata Power of Siberia, che entro il 2025 dovrà raggiungere la portata di 38 miliardi di metri cubi all’anno, tale da soddisfare l’accordo di 48 miliardi di metri cubi che, ipoteticamente, entrambi i partner sarebbero pronti ad ampliare. Attualmente questa ramificazione della conduttura arriva ad una portata di 14 miliardi di metri cubi all’anno.

La fetta di torta dell’Italia è al secondo posto in Europa

Quando fu siglato questo accordo con la Cina, Putin non aveva alcun motivo di risentimento con l’Europa e quindi non ha mai messo in discussione la fornitura europea che, del resto, faceva comodo sia al vecchio continente, che a Mosca. Ma la Russia aveva già ridotto le sue forniture di gas all’Europa un anno prima della guerra, elemento che contribuì ad un lieve innalzamento dei prezzi.

Tornando al consumo europeo di gas, il vecchio continente si approvvigiona, da solo, per il 40% dalla Russia che, sua volta esporta il 70% del gas destinato ai paesi esteri. Tra i paesi che beneficiano di più del gas russo troviamo:

  • la Germania con il 45,84 miliardi di metri cubi all’anno;
  • l’Italia con 20,80 miliardi;
  • a seguire vediamo la Turchia che importa 16,40 miliardi di metri cubi;
  • l’Austria che ne importa 13,22 miliardi.

Solo il 30% del gas destinato all’esportazione viene poi smistato nei paesi dell’ex Unione sovietica. Se un embargo arrivasse adesso dunque la Russia perderebbe circa 800 milioni di dollari al giorno per tre anni, 24 mila milioni di dollari al mese, pari 288 trilioni di dollari all’anno.

L’Italia ce la farà senza la Russia?

Ma il motore del made in Italy, delle industrie e delle piccole e medie imprese spesso a reggenza famigliare, sono quei 21 milioni di metri cubi all’anno che l’Italia compra da Mosca ad un prezzo cinque volte inferiore rispetto alla fornitura americana a cui guarda la “finanza armata” capeggiata da Mario Draghi, di cui parla il Financial Times. E, sebbene l’Italia (quinto paese al mondo per importazioni di gas con 70,9 miliardi di m3) sia in grado di stoccare più gas rispetto ad altri paesi europei, non è in grado di rigassificare il gas americano. Quest’ultimo infatti oltre a costare di più, giungerebbe in forma liquida, necessitando dunque di ulteriore raffinazione.

Lo stoccaggio di gas da parte italiana pesa per il 23,4% della capacità totale europea, vale a dire 74,1724 TWh sui 316,927 TWh dell’Europa stoccati da Germania (per 67,77 TWh), dall’Olanda (per 30,04 TWh) e dalla Francia (per 27,79 TWh).

Per quanto concerne l’economia italiana, va detto che già prima della guerra in Ucraina, Gazprom aveva ridotto del 43% gli apporti di metano nei gasdotti, generando un immediato aumento del prezzo del gas del +7,58%. Ma in quest’ottica sarebbe dovuta aumentare la fornitura del Nord Stream 2, gasdotto non attivo a cui la Russia tiene tanto, in quanto sarebbe capace di portare 55 miliardi di m3 all’anno verso l’occidente che, Mosca, rifornisce da oltre 50 anni.

E cosa si farebbe dunque senza gas russo? Draghi ieri ci ha fatto sapere che saremmo comunque coperti fino ad ottobre, ma chiudendo i rubinetti l’Italia andrebbe di fatto incontro ad una recessione strutturale, tuttavia il premier precisa che «andiamo con l’Ue, se ci propone l’embargo sul gas, siamo contenti di seguire. Quello che vogliamo è lo strumento più efficace per la pace. Ci chiediamo se prezzo del gas può essere scambiato con la pace».

La parola pace, nell’attuale dialettica diplomatica, non è più seguita dalla parola trattativa, cosicché l’embargo sul gas si configura più come una provocazione a Putin a tutto beneficio degli Stati Uniti. Almeno questa è l’altra lettura delle parole di Draghi. E questa strada, probabilmente, la si sceglie consapevoli che, attualmente, ci sono 184 mila imprese a rischio, 1,4 milioni di lavoratori che rischiano di ritrovarsi in stato di disoccupazione, il tutto pesa per il 10,9% del valore aggiunto del sistema produttivo. Nel primo trimestre 285 mila imprese, di cui 221 mila attive nel terziario, sono andate in deficit non riuscendo a recuperare i livelli produttivi prepandemici.

Lo stato italiano inoltre farà fronte agli 86 mila profughi ucraini che hanno fatto domanda di asilo, solo 1700 ieri sera premevano lungo il confine statunitense a nord del Messico. Nulla, ovviamente, in confronto ai due milioni che premono in Polonia.

La recessione che verrà sarà dunque dolorosa e coinvolgerà tutti i settori del sistema produttivo. Ma noi dimentichiamo l’austerity, i tagli alla sanità degli scorsi anni, quelli a cui non si è deciso di rinunciare nemmeno dinanzi all’incremento dei suicidi. Dimentichiamo gli esodati della legge Fornero e, con un pò di impegno, pure i crimini di guerra commessi in Iraq dagli Usa.

L’Europa non è più la stessa ormai, ha ritrovato una nuova moralità: se a muovere la guerra è Putin, infatti, è tutta un’altra storia. Rinunciamo con convinzione al +6,3% di crescita sul Pil italiano, pur venendo da una pandemia economicamente apocalittica. Rinunciamo ai 7 miliardi di export, che per le industrie sono una benedizione e, non pensiamo nemmeno più ai 23 miliardi di export verso Mosca dell’area euro a beneficio di Italia, Francia e Austria.

Lo scenario non scompone assolutamente Draghi: l’uomo del “whatever it takes” si riconferma tale anche sulle sanzioni.