Chi opera con l’estero, sia in vendita che in acquisto, sa bene quanto sia importante e complesso il tema dell’origine della merce da un punto di vista doganale, sia nella sua versione “preferenziale” che “non preferenziale”.
Proprio in merito a un caso di evasione di dazi antidumping per errata dichiarazione di origine è recentemente intervenuta la Corte di Giustizia dell’Ue con la sentenza del 23 novembre 2023, causa C-653/22. Nello specifico, si è trattato di un’importazione di biciclette e parti di biciclette, presentate in dogana come originarie di Taiwan, mentre erano di origine cinese (ovvero fabbricate in Cina).
Per sanzionare l’azienda importatrice, le autorità doganali dell’Ungheria avevano applicato, oltre al dazio antidumping evaso e previsto per l’importazione di quel tipo di prodotti originari della Cina, un’ammenda pari al 50% del totale dei dazi doganali dovuti, escludendo dalla condotta dell’operatore la presenza di dolo. Se quest’ultimo fosse stato presente, invece, sarebbe stata applicata un’ammenda pari al 200% dei dazi dovuti e non versati.
Dopo aver precisato che “gli operatori economici dell’Unione devono adottare tutte le misure necessarie per garantire la correttezza delle informazioni sulle merci”, comprese quelle relative all’origine doganale, la Corte di Giustizia dell’Ue ha rilevato che “la normativa ungherese prevede un’adeguata modulazione delle sanzioni, molto più gravi in caso di errore doloso e attenuate in caso di errore commesso in buona fede” (Sara Armella, Italia Oggi del 24 novembre scorso).
Al di là del caso specifico, quindi, nella suddetta sentenza la Corte ha espresso un principio quanto mai importante e innovativo: in casi analoghi di violazione della normativa doganale, per la definizione della sanzione rilevano sia l’esatto ammontare dei dazi non pagati, sia, in modo particolare, la condotta dell’operatore (ovvero se, al momento dell’illecito, quest’ultimo era o meno in buona fede). L’obiettivo di questo approccio sarebbe quello di punire in modo meno severo le aziende che hanno operato in buona fede e, in modo diligente, si sono adoperate per rispettare gli obblighi normativi.
A causa dei recenti sviluppi intercorsi nello scenario globale (guerra in Ucraina in primis), infatti, conformarsi alla normativa doganale e rispettare le restrizioni al commercio internazionale è diventato un compito quanto mai arduo e complesso in capo alle imprese. Perciò, non è affatto difficile che operatori diligenti e in buona fede possano incorrere in violazioni normative, aventi talvolta anche importanti risvolti di tipo penale.
Consapevoli di questo e in un’ottica di “cooperative compliance”, attraverso la suddetta sentenza della Corte, le autorità dell’Ue forniscono un consiglio più che chiaro: è importante che le imprese mettano in atto le dovute misure di due diligence, capaci di provare la loro buona fede in caso di violazione e di attenuare, in caso di illecito, l’ammontare delle sanzioni.
Per questo, oggi più che mai, è importante che le imprese si dotino di procedure di compliance interne commisurate al livello della propria esposizione al rischio, miranti a prevenire le infrazioni normative e dimostrare alle autorità la propria diligenza nel rispetto di obblighi sempre più rilevanti e complessi da gestire e rispettare.
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