Un’armata di vecchie petroliere ha aiutato la Russia ad attutire lo choc delle pesanti sanzioni imposte dall’Occidente dopo l’invasione dell’Ucraina. In base alle regole applicate dal dicembre dell’anno scorso, i Paesi che non appartengono al G7, come Cina e India, potrebbero continuare ad acquistare il petrolio russo, ma dovrebbero pagare meno di 60 dollari al barile se usano navi, servizi commerciali o assicurativi registrati dal G7 per spostare il greggio. Queste misure sono state concepite per mantenere il petrolio russo sul mercato internazionale, minando al contempo la capacità del Cremlino di finanziare la sua guerra in Ucraina. Di fatto hanno ridisegnato la mappa energetica globale. I flussi di petrolio dalla Russia all’Europa si sono ridotti sensibilmente, ma milioni di barili vengono spediti dai porti occidentali della Russia sul Mar Baltico e sul Mar Nero, in un viaggio complesso verso i nuovi acquirenti, come India, Cina e Turchia.
L’embargo dell’Ue è stato efficace nel bloccare la maggior parte delle forniture al blocco, d’altra parte i funzionari occidentali hanno ammesso che 12 mesi dopo quasi nessun barile del greggio russo che affluisce ai nuovi acquirenti è venduto a meno di 60 dollari l’uno. “Nel primo trimestre il tetto ha funzionato bene, nel secondo trimestre la Russia ha iniziato a trovare modi per aggirarlo, nel terzo trimestre il tetto era quasi finito e ora nel quarto trimestre il tetto è definitivamente superato“, ha dichiarato Maximilian Hess, fondatore del gruppo Enmetena Advisory, al Financial Times.
PETROLIO E SANZIONI: ELUSIONE PRICE CAP DELLA RUSSIA
La violazione quasi universale del tetto massimo dei prezzi è stata possibile per le carenze nell’applicazione delle norme, ma anche perché la Russia è riuscita a costruire una rete di navi per spostare il suo petrolio, al di fuori della portata del G7. La Kyiv School of Economics, che ha studiato l’elusione del price cap, ha stimato che a ottobre il 99% delle esportazioni via mare di greggio russo è stato venduto a prezzi superiori ai 60 dollari al barile. Di queste spedizioni, spiega il Financial Times, il 71% ha coinvolto navi e fornitori di servizi al di fuori dei Paesi del G7, rispetto al 20% dell’aprile 2022. La società di dati e analisi Kpler ha suddiviso le navi che movimentano il petrolio della Russia in tre gruppi: quelle di proprietà russa, la cosiddetta “flotta oscura“, che prima era coinvolta nel trasporto di greggio sanzionato dal Venezuela o dall’Iran, e la “flotta grigia” nata dopo lo scoppio della guerra in Ucraina.
A novembre, la flotta grigia ha rappresentato per la prima volta più della metà delle esportazioni di petrolio dalla Russia occidentale, stando ai dati di Kpler. Le navi registrate in Grecia sono rimaste le seconde più grandi trasportatrici di greggio russo a novembre, ma i loro 16 milioni di barili sono stati oscurati dai 28 milioni di barili movimentati dalle petroliere registrate dagli Emirati Arabi Uniti e dai 23 milioni di navi gestite dalla Cina e da Hong Kong, secondo un’analisi del Financial Times degli indirizzi di corrispondenza elencati delle navi. “La Russia è riuscita a costruire una propria flotta, a trovare assicurazioni alternative, a costruire un ecosistema di persone che possono aiutare a spostare il greggio e i prodotti. È difficile rimettere il genio nella bottiglia“, ha dichiarato a FT Ben Cahill, senior fellow del Center for Strategic and International Studies, che ha studiato le sanzioni energetiche imposte dall’Occidente a Mosca.
PARADOSSO UE: ARRIVA PIU’ GNL DALLA RUSSIA
La Russia ha attutito l’impatto delle sanzioni non solo con l’elusione del price cap, ma anche perché riesce comunque a fornire gas naturale liquefatto all’Unione europea. Lo dimostra il caso Novatek, la più grande compagnia russa di GNL. Dopo l’invasione dell’Ucraina, il progetto Arctic LNG 2, destinata a diventare la più grande fabbrica di GNL russa, sembrava prossimo a fallire, visto che fornitori e partner occidentali si erano ritirati, mentre l’Ue ha vietato l’esportazione e la vendita di tecnologia GNL alla Russia. L’Ue non importa quasi più gas dai gasdotti russi, ma le importazioni di gas liquefatto sono aumentate, anche dalla Russia. Come evidenziato da Frankfurter Allgemeine Zeitung, nei primi sette mesi di quest’anno, l’Ue ha importato circa il 40% in più di GNL dalla Russia rispetto a prima dell’invasione dell’Ucraina, secondo i calcoli dell’organizzazione Global Witness basati sui dati del servizio industriale Kpler.
A beneficiarne è soprattutto Novatek, l’unico grande produttore russo di GNL. Una beffa per l’Occidente, anche perché secondo una ricerca del media investigativo russo Vashnyye Istorii, i dipendenti di Novatek e delle società di sicurezza strettamente legate al gruppo starebbero reclutando soldati per la guerra contro l’Ucraina tra i lavoratori dei giacimenti di gas. Oltre alla loro paga abituale, essi riceverebbero denaro per il loro impiego da un fondo di beneficenza chiamato “Courage“, al quale Novatek contribuirebbe principalmente. La notizia è stata smentita da Novatek, ma è certo che la guerra in Ucraina si sia rivelata vantaggiosa per l’azienda. Da un lato, nel breve termine: si prevede un aumento dell’utile netto e del fatturato del 25% quest’anno rispetto al 2021. Nel primo semestre di quest’anno il gruppo ha generato un fatturato di circa 6,5 miliardi di euro e un utile netto di 1,6 miliardi di euro. Inoltre, secondo i calcoli del media indipendente russo in esilio Novaya Gazeta Europa, Novatek è anche una delle società che ha acquistato il maggior numero di beni russi dalle società occidentali che hanno lasciato il Paese dopo l’attacco.
ANCHE PARTNER OCCIDENTALI PER NOVATEK
La contraddizione tra l’abbandono dei gasdotti russi e l’acquisto di più GNL dalla Russia è discussa da tempo nell’Unione europea, ma non è chiaro in che misura un embargo influirebbe sull’industria russa del gas naturale liquefatto. “Se alcuni Paesi smettono di comprare il GNL russo, qualcun altro lo comprerà“, dichiara a FAZ Katja Yafimava, esperta di gas presso l’Oxford Institute for Energy Studies. Le sanzioni occidentali potrebbero ritardare i progetti di GNL russo e renderli più costosi, ma l’impatto sul mercato globale del GNL danneggerebbe anche l’Europa, sostiene Yafimava. Peraltro, i partner internazionali sono ancora coinvolti nei principali progetti di Novatek. Ad esempio, tra gli azionisti di Arctic LNG 2 ci sono il gruppo francese Totalenergies e il consorzio giapponese Mitsui-Jogmec, ciascuno con una quota del 10%, oltre a due gruppi statali cinesi, anch’essi con il 10%. Novatek ha apparentemente trovato un modo per aggirare le sanzioni: anziché usare turbine a gas provenienti dall’Occidente, l’impianto sarà alimentato da energia elettrica.