Sale la tensione tra Unione Europea e Cina, come non accadeva dai fatti di piazza Tienanmen, nel 1989. I ministri degli Esteri della Ue hanno infatti dato il via libera a nuove sanzioni nei confronti della Cina: colpiti quattro funzionari cinesi e l’ufficio di pubblica sicurezza della regione dello Xinjiang, responsabili delle continue e gravi violazioni dei diritti umani contro la minoranza musulmana degli uiguri. La risposta di Pechino non si è fatta attendere. La Cina “si oppone e condanna con forza le sanzioni unilaterali decise oggi dalla Ue a carico di persone ed entità cinesi rilevanti, citando le cosiddette questioni relative ai diritti umani nello Xinjiang” e in una nota annuncia che sono state varate sanzioni contro “10 persone e 4 entità della Ue”. L’orologio della storia corre dunque pericolosamente all’indietro, con quali conseguenze? Ne abbiamo parlato con il sinologo Francesco Sisci.



Era da piazza Tienanmen che non si verificavano tensioni fra Ue e Cina. Possono minare davvero le relazioni bilaterali?

C’è una dualità antica tra spinte che vengono dalla Commissione Ue, dotata di poteri e dominata da commissari nominati dai governi nazionali e funzionari di carriera, entrambi che dialogano con lobby industriali ed economiche, e Parlamento europeo, eletto direttamente ma senza poteri e più sensibile a istanze ideali e valori come opposizione alla repressione e difesa dei diritti. La Commissione ha voluto il Cai (Comprehensive Agreement on Investment, un accordo bilaterale per gli investimenti che apre il mercato cinese alle imprese dei paesi Ue, ndr), il Parlamento ha invece chiesto le sanzioni. Tra le due parti c’è un equilibrio fragile e instabile. Sarebbe stato nell’interesse della Cina vedere questo iato e cercare di giocarci. Viceversa, il clamore dato in Cina alle sanzioni e l’annuncio di contro-sanzioni taglia l’erba sotto i piedi del Cai e spinge la Commissione lontano dalla Cina. Forse sarebbe accaduto comunque, ma certo la risposta cinese accelera i tempi.



Perché la Cina è così sensibile alla questione degli uiguri e delle minoranze musulmane?

La questione dello Xinjiang è oggettivamente molto complicata. Lo Xinjiang è un’area grande circa un quinto del territorio cinese e con circa l’1% della popolazione nazionale. Molti di loro oggettivamente soffrono sempre di più il governo di Pechino e Pechino nel corso degli ultimi decenni ha avuto difficoltà sempre maggiori a gestire il territorio. Ma dietro la questione dello Xinjiang c’è un’insoddisfazione crescente di paesi occidentali verso un lungo elenco di questioni cinesi, ideali, commerciali e strategiche: la repressione dei diritti umani, la chiusura dei mercati interni, le barriere all’importazione, la repressione a Hong Kong, le pretese territoriali nel Mar Cinese meridionale, la questione di Taiwan, la posizione cinese in Myanmar…



Uiguri, Taiwan, Hong Kong, Mar Cinese meridionale: la Cina è nel mirino. Si sente assediata?

Sì. All’improvviso la Cina, che si sentiva al centro del mondo e in questo coccolata da tutti, ora si sente assediata e oggetto degli attacchi di tutti. Siamo in un momento molto delicato, in cui mi pare che la Cina sia sorpresa di questa sua nuova posizione. Ciò è comprensibile, ma forse reagisce in maniera emotiva e senza la freddezza necessaria.

Nella scelta della Ue di sanzionare la Cina sui diritti umani c’entra anche il fatto che alla Casa Bianca è arrivato Biden al posto di Trump?

Sì, ma in realtà tutto era cominciato già nell’ultima fase dell’amministrazione Trump. Cioè l’America ha smesso la sua politica unilaterale con la Cina, sta cercando un approccio unico con gli alleati e l’Europa sta rispondendo positivamente.

La Cina ha subito minacciato che “metterà in atto ulteriori reazioni con risolutezza”. Dove può portare questo scontro?

Le escalation sono pericolose proprio perché non c’è un punto chiaro di arrivo. Bisogna forse cercare di ragionare con freddezza da tutte le parti.

Le tensioni Ue-Cina possono avere ricadute sull’Italia e sui progetti legati alla Nuova Via della Seta?

Indubbiamente. Credo che l’Italia debba finalmente ricordarsi che la politica interna nasce dalla politica estera e non, come è successo negli ultimi anni, che la politica interna faccia dimenticare la politica estera. Veniamo da decenni di distrazione, il paese credo abbia bisogno di ragionamenti e analisi forti su dove sta il mondo e in che direzione si muove.

(Marco Tedesco) 

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