Giulio Sapelli, economista e storico, ospite a Giù la maschera su Radio Rai, ha detto la sua sul fenomeno dell’immigrazione. “È drammatico ma non è incontrollabile. I dati odierni sono stati previsti 30 anni fa dalla comunità scientifica internazionale. Non è altro che una riproposizione ciclica su scala planetaria di qualcosa che è già apparso in passato. Basti pensare alle grandi migrazioni avvenute nella metà dell’Ottocento e durante la Prima Guerra Mondiale”, ha sottolineato.



È importante, secondo l’esperto, considerare che ci sono anche dei fattori positivi nel fenomeno in questione. “Quello che l’opinione pubblica sottovaluta è che questi eventi non si determinano quando c’è una totale assenza di sviluppo, di assoluta prevalenza addirittura del sotto sviluppo, ma iniziano a presentarsi quando cominciano a intravedersi dei motivi di crescita. Gli individui che emigrano sempre in tutto il mondo, parliamo di emigranti economici, sono i più intelligenti, i più evoluti, generalmente quelli che hanno una famiglia allargata di cui una parte è già partita”.



Sapelli: “Fenomeni migratori attuali previsti da 30 anni”. Il parere dell’esperto

Le differenze in merito ai fenomeni migratori attuali e quelli del passato però ci sono. “Il problema essenziale è che un tempo, fino all’avvento della globalizzazione neoliberista, di questi fenomeni si occupavano degli Stati. Ed erano generalmente accompagnati da quelli che nell’assenza storiografica si chiamavano le organizzazioni collaterali, come le Chiese. Oggi invece si fa tutto con il cosiddetto mercato. Gli Stati se ne occupano. solo da un punto di vista securitario e repressivo”, ha riflettuto lo storico ed economista Giulio Sapelli.



I meccanismi di accoglienza di un tempo, in tal senso, erano più efficienti. “In passato, a New York come a Buenos Aires, i migranti venivano ospitati – non incarcerati – e assistiti in delle strutture specifiche. Inoltre, veniva data loro una formazione professionale. Anche ora, non è possibile pensare di chiuderli in un’isola, bisognerebbe creare delle case immigrazionali su tutto il territorio e aiutarli a crearsi una professione individuando le loro capacità e le loro passioni”, ha concluso.