Una situazione «insopportabile sotto il profilo umano e professionale». È quella vissuta da Sara Pedri, la ginecologa dell’ospedale Santa Chiara di Trento scomparsa nel nulla nel marzo scorso. Aveva chiesto di essere trasferita, ora è ancor più chiaro perché. Mentre proseguono le ricerche, emergono infatti i racconti di sei dipendenti che dopo la scomparsa della dottoressa di 31 anni, e prima che il caso diventasse nazionale, si sono rivolte ai legali per raccontare quel che accadeva nel reparto. Sono accuse pesanti: si parla di «vessazioni mortificanti» e di «un clima di sofferenza» che si viveva da anni a causa dei «metodi autoritari di Tateo e Mereu». Si tratta del primario Saverio Tateo e della dirigente Liliana Mereu. La situazione è gradualmente e purtroppo inesorabilmente peggiorata. Una ostetrica ha parlato ai pm e alla commissione interna di scatti d’ira, umiliazioni varie e turni massacranti.
Sono gli stessi atteggiamenti che Sara Pedri aveva descritto negli appunti lasciati nel suo appuntamento di Cles e recuperati dai carabinieri. Quella esperienza a Trento, che doveva essere per lei formativa, le ha causato invece uno stato di ansia profondo. Ora si fa sempre più concreta l’ipotesi che si sia suicidata in seguito alle vessazioni subite sul posto di lavoro.
COLLEGHE DI SARA PEDRI “C’ERA UN CLIMA AVVELENATO”
Non riusciva a dire no, ad opporsi, ma sapeva di avere bisogno di aiuto. Poi però è scomparsa e le ricerche per ritrovarla continuano. Nel frattempo l’Azienda provinciale per i servizi sanitari (Apss) ha deciso di trasferire il primario Saverio Tateo e la dirigente Liliana Mereu. Invece Pier Paolo Benetollo, direttore generale dell’Apss, si è dimesso. Decisioni prese dopo l’analisi della documentazione riguardante le testimonianze di ben 119 persone. Tra di loro ci sono sei professioniste che si sono fatte avanti per denunciare i metodi usati dai due specialisti in reparto. «La condotta basata su atteggiamenti spesso vessatori ha creato in me come in tanti altri una profonda sofferenza. Capitavano anche insulti e minacce. A un’infermiera ho sentito dire: io ti rovino». Gli inquirenti hanno portato alla luce una realtà professionale insostenibile. «Un clima avvelenato», lo definisce l’avvocato Nicodemo Gentile, legale della famiglia di Sara Pedri. Il suo auspicio è che la Procura trasformi l’attuale fascicolo da notizie non costituenti reato a notizie costituenti reato.
“MIA SORELLA ERA TERRORIZZATA”
Tutte queste tessere del puzzle dovranno essere verificate anche in sede giudiziaria. Quattro dottoresse hanno reso la loro versione alla Procura e all’Ordine dei medici. L’avvocato Andrea de Bertolini, che con il collega Andrea Manca assiste le sei professioniste, è convinto che l’esito dell’inchiesta interna non mette la parola fine a questa vicenda, ma rappresenta comunque qualcosa di importante. Ora si stanno valutando le azioni giudiziali da intraprendere, ma per i dipendenti è il momento di voltare pagina dopo anni di sofferenza. Lo spera anche la famiglia di Sara Pedri, che non smette di credere nel ritrovamento della trentunenne. La sorella Emanuela a L’Adige parla di un clima infernale nel reparto di ginecologia dell’ospedale Santa Chiara di Trento: «Era terrorizzata». Non esclude che la sorella abbia avuto un crollo emotivo. A tal proposito, ricorda un episodio in particolare che l’ha segnata ed è quello relativo ad un parto cesareo avvenuto a metà gennaio. «La dottoressa che ora è stata trasferita ha detto davanti all’equipe che Sara era un’incapace e l’ha fatta andare fuori. Per mia sorella quella era stata un’umiliazione». C’è quindi la convinzione che quell’ambiente così lontano dalla sua etica possa averla messa in uno stato di «difficoltà emotiva».