Sono state sospese lo scorso 18 ottobre le ricerche del corpo di Sara Pedri, la ginecologa di Forlì sparita nel nulla da Trento, e per cui sono indagati l’ex primario Saverio Tateo e la vice Liliana Mereudell’ospedale Santa Chiara di Trento sono indagatiper il reato di maltrattamenti e abuso d’ufficio. Sara Pedri aveva 31 anni, e a marzo di un anno fa aveva abbandonato Cles, in provincia di Trento, per non farvi più ritorno. A seguito dell’indagine sono emersi turni massacranti e vessazioni, «Ma mia sorella – spiega Emanuela Pedri a Il Corriere della Sera – conobbe un periodo di “luce” a Catanzaro e di “buio a Trento». A Catanzaro Sara Pedri si specializzò in ginecologia ed ostetricia, e i colleghi e gli amici l’hanno voluta omaggiare con un video in cui hanno raccolto tutti i momenti più belli vissuti assieme. «È un video molto semplice ma allo stesso tempo molto potente e molto efficace – spiega ancora Emanuela, sorella di Sara Pedri – trapela l’amore che queste persone avevano per Sara, sia per la persona che per la professionista. I volti sono quelli delle colleghe e dei colleghi di Catanzaro che erano diventati una vera e propria famiglia per lei. Immagini veritiere che restituiscono un ritratto fedele del vissuto di mia sorella. Catanzaro e Trento: la luce prima, il buio poi. Come se fossero due destini diversi che la vita le aveva mostrato». Emanuela sottolinea come Sara Pedri abbia trovato una vera e propria famiglia a Catanzaro: «E’ stata accolta come professionista e come persona, come amica e come compagna. Fuori dal lavoro frequentavano insieme i corsi di zumba, organizzavano feste, uscivano tutti insieme. E si sono create vere e proprie relazioni, Sara aveva creato un gruppo».



Dopo la scomparsa della giovane dottoressa, nel parco urbano di Forlì è stata dedicata un’aiuola alla donna: «Assomiglia sempre di più un vero e proprio giardino. “Giardino” è una parola ancora più bella, un concetto ancora più concreto. Ora si sta riempiendo di fiori e di colori. Abbiamo posizionato una cassetta postale realizzata da un’associazione di Cesena, realizzata da ragazze e ragazzi disabili, un gesto per noi importante. La piantammo nel giorno del compleanno di Sara assieme ad un albero nel 2021. Ad oggi abbiamo raccolto tanti pensieri ma anche tanti oggetti». E pochi giorni fa è arrivata anche la sua pergamena di specializzazione: «Siamo stati contattati dalla tutor di mia sorella, Roberta Venturella, che ci ha detto che avrebbe voluto consegnarcela di persona. Io ho preferito fosse mia madre a ritirarla. Roberta è un’altra persona che vogliamo ringraziare. È un punto di riferimento importante per la nostra famiglia, ci sentiamo spesso con lei. Fu lei a spedire una lettera al ministro Roberto Speranza per chiedergli di fare chiarezza. Il ministro poi inviò gli ispettori in ospedale. Penso sempre a una frase, tratta da un film, che assomiglia a un aforisma: “nessuno si salva da solo”. Il mio coraggio è stato dettato dall’amore per mia sorella ma devo ringraziare tante persone, come appunto la tutor di Sara». Secondo la sorella, «I medici erano al corrente della situazione. Sapevano cosa stava succedendo. Perché essi stessi soffrivano quella situazione. Anche loro venivano vessati e maltrattati, l’atmosfera era diventata tossica e loro si erano adattati, come se fosse uno status quo, come se fosse tutto normale. Invece erano “vittime” anche loro».



EMANUELA PEDRI, SORELLA DI SARA: “QUEL MURO DI GOMMA L’HO PERDONATO MA…”

Emanuela Pedri aveva parlato di Muro di gomma in quel di Trento: «Si io ho parlato di “muro di gomma”. Ma ci tengo a dirlo. Io questo “muro” l’ho perdonato. Per andare avanti devi cominciare a guardare veramente chi hai di fronte. Devi metterti nei suoi panni per darti delle risposte. Devi fare domande, insistere, far parlare gli altri. E allora a un certo punto ho messo Sara in disparte per capire che cosa fosse accaduto. Perché altrimenti avrei continuato a provare solo rabbia. Abbiamo dovuto aspettare che questi medici trovassero il coraggio di uscire allo scoperto, di parlare, di testimoniare. È con questi presupposti che abbiamo intrapreso un percorso che ha poi portato all’apertura di un fascicolo e alle indagini, all’allontanamento di primario e vice primario. Io credo che Sara avesse protetto chi le stava intorno. Lei si sentiva ingabbiata non si sapeva nulla di quello che accadeva, ci diceva che le cose non andavano bene ma non capivamo per davvero credevamo fosse dovuto a un grande cambiamento che era avvenuto nella sua vita, il trasferimento in una città lontana in un ambiente lavorativo molto grande, eterogeneo complesso. Ogni giorno percorreva in auto la strada che da Cles conduce all’ospedale. È una strada che io ho percorso tre volte, tra curve e galleria, e mi è bastato per comprendere, quasi toccare il suo stato d’animo». Quindi Emanuela, sorella di Sara Pedri, ha concluso dicendo: «Sara si è sentita sola. E la solitudine è una cosa tremenda. Mia sorella si è sentita abbandonata, non dalla sua famiglia, ovviamente. Si è sentita abbandonata dal sistema. Non si è sentita tutelata e protetta, come è accaduto per la maggior parte dei professionisti che hanno lavorato in quell’ospedale. La verità è che dobbiamo smetterla di pensare che se denuncio un abuso non succede nulla. Perché? Perché innanzi tutto succede una cosa. Se subisco un abuso e lo denuncio, succede che almeno continuo a vivere».

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