LA DENUNCIA DI SARA REGINELLA: “QUI C’È PENSIERO UNICO SULLA GUERRA”
Si chiama Sara Reginella, è una regista, videomaker, scrittrice e psicoterapeuta, ma soprattutto è stata protagonista di recente di diversi tentativi di boicottaggio da parte di persone ucraine per il suo libro “Donbass, la guerra fantasma”. In quel saggio scritto prima dello scoppio della guerra, Reginella svelava quanto visto durante la sua permanenza nella regione oggi teatro del conflitto russo-ucraino: ebbene, in diverse aree d’Italia dove si è presentata per discutere del suo libro, molti sono stati i tentativi di censura e boicottaggio tanto che in alcuni casi (come a Sinigallia ad inizio aprile) è dovuta anche intervenire la Polizia per sedare gli animi.
Oggi intervistata a “La Verità”, la stessa Reginella si toglie qualche sassolino dalla scarpa contro Occidente e informazione in generale – elementi in realtà già contestati prima dell’inizio della guerra e che già allora le diedero i connotati della regista “anti-imperialista”. «Nel Donbass per tre anni ho percepito profonda umanità e intenso dolore», racconta la documentarista rimasta a girare nelle città del Donbass tra il 2015 e il 2016. Ora però, con la guerra esplosa, le sue tesi non piacciono a molti, a cominciare dagli ucraini che l’hanno contestata nelle Marche: «Sono stata avvisata mentre ero in viaggio: mi hanno riferito che un gruppo di persone ucraine si è presentato nel locale dove era stato organizzato l’evento e ha iniziato a minacciarmi con aggressività. È grave che in un Paese democratico come l’Italia avvengano fatti così». Per Sara Reginella occorre stare dalla parte del popolo oppresso dalla guerra, «occorre risolvere questo conflitto, che è tra Usa e Russia». Questo non significa fare finta che la Russia non abbia colpe nell’attaccare l’Ucraina, tutt’altro: «la gente muore davvero, come ne è morta in Donbass. Ma è sotto gli occhi di tutti che le informazioni oggi sono spesso date in modo da instillare odio».
LA REGISTA CHE CRITICA L’UCRAINA SUL DONBASS: “TERRORISMO DELL’INDIGNAZIONE”
Reginella racconta ad esempio dell’informazione “incompleta” circa la tragedia del teatro di Mariupol distrutto dai russo: «Quanti sanno che nel teatro-rifugio di Mariupol – come hanno detto le autorità locali – non sono stati recuperati cadaveri sotto le macerie? È davvero utile spettacolarizzare così il nemico? Non possiamo semplicemente accettare questa guerra e per- correre la strada della diplomazia?», si chiede ancora la regista e scrittrice su “La Verità”.
Dalle gaffe di Saviano – che ha pubblicato una foto di un bambino mutilato del 2015 scambiandolo per una vittima del conflitto in corso in Ucraina – fino all’informazione eterodiretta da fonti ucraine o americane: se Putin ha scatenato e scatena le sue potenti arme ideologiche e propagandistiche ignobili, Sara Reginella sottolinea come anche dal fronte Occidente non è tutto oro quello che luccica. «Occorre essere vicini a tutte le persone che muoiono, non solo a quelle colpite dalle guerre che fanno comodo all’Occidente», ribadisce la videomaker, sottolineando però come proprio nell’informazione occidentale si assiste da tempo ad una sorta di «terrorismo dell’indignazione», per cui «si crea risentimento collettivo per legittimare la violenza degli attacchi. Inaccettabile l’odio per il mondo russo». Infine, la critica di Sara Reginella va contro l’esaltazione tutta occidentale delle gesta del Battaglione Azov, quando prima della guerra venivano definiti semplicemente dei “neonazisti”: «I giornalisti free- lance Maurizio Vezzosi e Patrick Lancaster hanno fotografato nel sotterraneo di una scuola di Mariupol il corpo di una ragazza torturata con una svastica sulla pelle», denuncia la regista facendo riferimento alle parole poi dette dalla cantante ucraina Uliana Kinash in tv, «la svastica è un simbolo che rappresenta il sole, poi trasformato in qualcosa di negativo da Hitler». Ecco, Reginella sottolinea come non vi sia «alcuna bellezza in un corpo torturato e nella guerra. La mostruosità della guerra c’è da una parte e dall’altra del fronte».