Non arrivano buone notizie dalla Germania: l’economia tedesca è in recessione e l’andamento degli ultimi trimestri conferma la tendenza di lungo periodo. Si tratta del Paese dell’Ue che dal 2019 ha fatto peggio in termini di crescita, fatta eccezione per la Repubblica Ceca. La recessione causata dalla pandemia è stata meno violenta rispetto ad altri Paesi, ma la ripresa è stata deludente, infatti il Pil tedesco è appena un punto percentuale sopra i livelli pre pandemia. Ad affliggere l’economia tedesca sono diversi problemi, non a caso Economist riesuma una copertina del 1999 in cui si definiva la Germania «L’uomo malato d’Europa». Se all’epoca le cause erano attribuite al mercato del lavoro “sclerotico”, ai disavanzi con l’estero e al peso della riunificazione, ora invece pesano la burocrazia e l’incapacità di adattare il proprio modello produttivo al mondo attuale. Lo rimarca sul Domani il professor Francesco Saraceno, che insegna macroeconomia internazionale ed europea a Sciences Po e alla Luiss ed è vicedirettore dell’Ofce (osservatorio francese di congiunture economiche).
Servono riforme profonde alla Germania per ripartire, anche perché la decisione della Corte costituzionale tedesca di cassare l’uso di parte dei fondi stanziati per il Covid (circa 60 miliardi), e inutilizzati, per finanziare il fondo per la trasformazione e il clima, apre a conseguenze imprevedibili per le finanze pubbliche tedesche. La crisi in cui versa ora è frutto del cosiddetto ordoliberalismo, che antepone l’interesse collettivo a quello individuale. Non a caso il ministro delle finanze tedesco Christian Linder a Der Spiegel ha spiegato che il freno al debito garantisce disciplina fiscale e consente di proteggere le generazioni future e lo spazio di manovra in caso di crisi.
“ALLA GERMANIA SERVIVA UNA RISTRUTTURAZIONE DEL SISTEMA PRODUTTIVO”
«Le ultime settimane ci consegnano insomma un quadro preoccupante», scrive l’economista Francesco Saraceno sul Domani, evidenziando come la Germania abbia «un’economia avvitata su sé stessa» e sia prigioniera «di una dottrina ordoliberale chiaramente incapace di integrare le lezioni delle molte crisi degli ultimi lustri e inadeguata a rispondere alle sfide dei prossimi anni». Per Saraceno, la Germania è l’uomo malato d’Europa per «anni di masochistica frugalità pubblica che oggi costituisce un freno anche all’investimento privato». Infatti, per Peter Bofinger negli scorsi anni imprese e governo sono stati illusi dall’apparente successo della macchina da esportazioni tedesca, non capendo che sarebbe servita una ristrutturazione profonda del sistema produttivo, altrimenti si sarebbe ritrovata prima o poi in difficoltà.
Lo dimostra il settore automobilistico, che era fiore all’occhiello dell’industria tedesca ed ora è in ritardo nella transizione all’elettrico, motivo per il quale ora le aziende tedesche sono diventate dipendenti dalle importazioni dalla Cina. Saraceno, dunque, condivide la conclusione di Bofinger, secondo cui «fintanto che le élite tedesche si ostineranno a vedere lo stato come una fonte di problemi (quindi da imbrigliare quanto più possibile in una rete di regole rigide, nazionali ed europee) e non come uno degli attori necessari per favorire la transizione verso un’economia moderna, la Germania rimarrà “malata”». E ciò vale anche per il resto d’Europa.