Dopo poco più di sei mesi di discussioni e trattative, la Corte Costituzionale ha raggiunto un verdetto unanime sulla spesa sanitaria della Regione Sardegna, dando ragione all’amministrazione locale e respingendo – di conseguenza – il ricorso presentato dal Consiglio dei ministri lo scorso 22 dicembre (poi ratificato il 27 febbraio di quest’anno): il fulcro dello ‘scontro’ era la legge regionale 9/23 ed – in particolare – agli articoli 35 e 56, ritenuti dal Governo contrari agli articoli 81 e 97 della nostra Costituzione. Secondo i massimi giudici italiani – ma ci arriveremo meglio tra qualche riga – però, il ricorso governativo non si poggerebbe su basi solide perché, pur restando vero che la regione sarda ha disposto unanimemente l’incremento della spesa sanitaria; l’ha fatto nel pieno rispetto dell’ordinamento regionale, senza causare alcun tipo di danno al bilancio pubblico.



Prima di arrivare alla sentenza facciamo un passo indietro per ricordare – brevemente – l’esposto governativo che criticava soprattutto il fatto che “le risorse non utilizzate (..) per l’assistenza ospedaliera possono essere redistribuite tra gli erogatori privati accreditati“; oltre a criticare anche “l’incremento del tetto di spesa dell’assistenza ospedaliera nell’anno 2023 ‘anche oltre i limiti imposti dalle disposizioni di legge nazionali‘”. In altre parole, secondo il governo la Sardegna non poteva – da un lato – incrementare a piacere la spesa sanitaria oltre i limiti imposti dalla legge nazionale e – dall’altro lato – neppure redistribuire il disavanzo ai citati “erogatori privati accreditati”.



Cos’ha detto la Corte Costituzionale sulla spesa sanitaria della Sardegna: “Non ci sono norme per impugnarla”

Compreso il retroscena possiamo arrivare alla sentenza della Corte Costituzione che proprio oggi ha dato ragione alla Sardegna e all’incremento della spesa sanitaria voluto dall’allora presidente (oggi sostituito in sede elettorale della pentastellata Alessandra Todde) Christian Solinas, ricordando – in un comunicato stampa – che la misura era “fine [a] garantire i livelli essenziali di assistenza e ridurre i tempi di attesa (..) eccedendo i limiti previsti dalla normativa nazionale”.



Le disposizioni secondo la Consulta “sono costituzionalmente legittime” perché seppur – di fatto – la Corte non possa prescindere dall’applicazione “dalla legislazione statale (..) anche ai soggetti ad autonomia speciale”, e fermo restando che “i tetti di spesa costituiscono principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica”; nel caso della spesa sanitaria sarda “non si utilizzano” dato che “provvede integralmente al finanziamento del proprio servizio sanitario regionale“.

Dato l’autofinanziamento regionale e vista – soprattutto – “e l’assenza di condizioni che possano far ritenere di non poter applicare il predetto principio”, secondo la Corte Costituzionale “lo Stato non [può] intervenire con norme di coordinamento finanziario” che modifichino le spese decise dal governatorato sardo.