Dopo mesi di silenzio totale, la ricomparsa del “movimento delle sardine nello scenario delle elezioni amministrative del 20 settembre, suggerisce alcune importanti considerazioni.

La prima di queste è sicuramente data dal consolidarsi della sua funzione di sostegno elettorale che, dopo il successo ottenuto in Emilia-Romagna, dove questo movimento è intervenuto a difendere la giunta di Bonaccini, si ripropone adesso a sostegno dell’amministrazione uscente della regione Toscana. Regione che, proprio come l’Emilia-Romagna, rischia di cadere sotto il peso di un’opposizione di centro-destra che si sta declinando sempre di più su di un piano popolare di massa.



Una tale funzione di supporto elettorale appare tanto più necessaria quanto più si è affermata la capacità della Lega di Matteo Salvini di occupare quello stesso spazio della protesta politica che tradizionalmente ha costituito la principale fonte di legittimazione della sinistra, nonché la principale rappresentazione di quest’ultima nell’immaginario collettivo.



È proprio in ragione di un simile e paradossale rovesciamento degli spazi politici, dove la piazza è passata da sinistra a destra, che la presenza delle sardine si rende indispensabile per recuperare, e in parte occultare, quest’inaudito rovesciamento dei ruoli.

Ma il movimento delle sardine si è ritrovato ad occupare anche un’altra vistosa assenza: quella di un’opposizione anti-sistema in servizio permanente effettivo che, dopo aver presidiato per oltre un decennio l’ala dura dell’antagonismo militante, ha deciso di abbandonare le riunioni del G8 per operare sui barconi delle Ong che solcano il Mediterraneo, scoprendosi molto più efficace di quanto non lo fosse negli scontri a ferro e fuoco con le forze dell’ordine.



Confrontata a quello che fu l’universo “no global” prima e “no border” poi, la differenza rappresentata dalle sardine è assolutamente palpabile. Con quest’ultime siamo infatti di fronte ad un’area di protesta “soft”, dove l’avversario contro cui ci si batte è all’opposizione, mentre i propri alleati risiedono principalmente in un centro-sinistra serenamente e stabilmente insediato al governo. Nelle piazze, oramai disertate da una sinistra al potere e un’estrema sinistra in mare, il movimento delle sardine occupa uno spazio politicamente ampio e, praticamente, senza concorrenti interni. Ciò che resta della sinistra, dislocandosi tra Palazzo Chigi e le acque del Mediterraneo, lascia uno spazio vuoto che le sardine sono vivamente sollecitate ad occupare per contrastare una destra tanto emergente quanto, almeno per ora, inarrestabile.

Ciò spiega il suo incontestabile successo mediatico, mai ottenuto dalle formazioni anti-berlusconiane e anti-sistema degli ultimi quindici anni, dai “disobbedienti” al “popolo viola”. Molto più di questi, il movimento delle sardine è infatti presente negli studi televisivi e sulle testate giornalistiche ad alta risonanza mediatica.

Ma ciò spiega anche il suo spettacolare sovradimensionamento sul piano dei movimenti politici. La sua stessa scomparsa dagli schermi e dalla cronaca degli ultimi mesi è stata infatti causata da una sorprendente assenza di visibilità dei contenuti. Qualsiasi dibattito interno, se pur c’è stato da qualche parte, non è stato in grado di presentare dei contenuti mediaticamente comunicativi presso un universo immediatamente disposto ad ospitarli e a dare loro l’indispensabile visibilità.

Proprio per questo, la loro inattesa ricomparsa alla vigilia delle elezioni amministrative, in una Toscana in bilico tra una tradizione “progressista” e un’affermazione leghista e salviniana, mostra in modo abbastanza evidente la consistenza ultima di questo movimento, definibile come un vero e proprio “popolo di riserva”, pronto a mobilitarsi e ad essere mobilitato, quando il pericolo di crollo per ciò che resta di quella che è stata per decenni un’egemonia politica e rappresentazionale della sinistra, si fa reale anche nelle sue roccaforti storiche.

La stessa presenza fisica delle sardine, parallela al suo silenzio mediatico sul piano dei contenuti, permette così di comprendere quanto un tale movimento sia necessario alla riproduzione di una tradizione politica orfana di una piazza che tanto ha rappresentato nella sua storia.

Sotto quest’aspetto le “sardine” sono tanto più preziose quanto più c’è una leadership che, volendosi richiamare ad una tradizione popolare, ha urgente bisogno di essere di nuovo legittimata da una base che tarda a comparire. E ciò non si può produrre senza che si renda visibile uno scenario popolare pronto a ridarle anima e senso: il ruolo che le sardine sono pertanto chiamate a svolgere è enorme, ma non per questo impossibile. Si tratta di confortare una sinistra orfana dei movimenti, simulando un popolo che non c’è.