“Per ora è ammesso chiunque, pure uno di CasaPound va benissimo. Basta che in piazza scenda come Sardina”. A rispondere in questo modo su un quotidiano è Stephen Ogongo, giornalista di origine keniana, 45enne da venticinque anni in Italia; sta parlando del raduno nazionale del 14 dicembre delle Sardine a Roma, città dove è leader del movimento. Invito preso al volo da Simone di Stefano, uno dei dirigenti di CasaPound, che risponde: ci saremo.
Come è facile immaginare, un profluvio di reazioni indignate riempie tutti i canali, a iniziare dai social: solo a Roma il gruppo Facebook delle Sardine ha 140mila iscritti. E sempre su Fb arriva la precisazione netta dei quattro promotori bolognesi, volta a tranquillizzare quelli che già minacciano di ripudiarli: “Le piazze delle Sardine si sono fin da subito dichiarate antifasciste e intendono rimanerlo. Nessuna apertura a CasaPound, né a Forza Nuova. Né ora né mai”.
Ma CasaPound, ben lontana dal quietarsi, rintuzza: “Se è una piazza aperta e se per qualcuno, come il leader romano Ogongo, non c’è nessun problema, immagino che non ci siano problemi per tanti altri. Mi pare assurdo che un movimento già inizi con i diktat di leader e poi questi leader chi li ha nominati? Sono stati eletti democraticamente da un consesso di Sardine?”. E ancora: “Non è che quattro persone decidono per un movimento che vuole essere di popolo, spontaneo e libero”.
Ammetto che sarebbe comico il richiamo alla coerenza da un leader di estrema destra se le Sardine coinvolgessero tante persone in un’operazione politica che sembra limpida e invece comincia a scivolare nel torbido.
Una definizione del movimento viene ancora da Di Stefano, semplice fino all’ovvietà: “Al momento le Sardine sinceramente mi sembrano un contenitore vuoto e manovrato dalla sinistra”, evidente per l’occhio non dico del politologo esperto, ma persino del più comune spettatore televisivo come la maggioranza di noi emiliano-romagnoli che guardiamo un po’ sconcertati questi fatti che alla fine sembrano soprattutto distrarre dai problemi reali della nostra Regione.
Intanto, che siano un movimento spontaneo ci crede solo chi ci vuole credere. Più che “manovrato dalla sinistra”, a chi è minimamente realista appare chiaro che le Sardine siano “progettate”, e decisamente bene. Basta informarsi sul mestiere che fanno i quattro fondatori bolognesi e su chi li ha assunti. Quello più carino che appare in tivù, Mattia Santori, ha affermato che tutto è nato “senza un euro”; purtroppo non è credibile, soprattutto quando dice che mentre lui, che se la cava meglio, è ospitato (e incensato) assiduamente nei più seguiti salotti televisivi, gli altri tre lavorano ventiquattr’ore al giorno al progetto. Qualcuno dovrà pure mantenerli, almeno perché non muoiano di fame, non fosse altri che il loro papà o qualcuno del genere. Poi questa faccenda dei giovani, delle facce pulite, che può funzionare solo in Italia dove continuiamo a chiamare giovani persone tra i trenta e i quarant’anni, come sono questi.
La prima piazza occupata è stata Bologna, da un numero di persone che inizialmente doveva essere di seimila ma ad ogni settimana e articolo che passa lievita, e negli ultimi è verso i trentamila. Chissà tra un mese. Ora, bisogna conoscerla Bologna, che non è una città, ma due: Bologna vera e propria e l’università, un’enorme città nella città che aspira decine di migliaia di studenti (e fuoricorso) da tutta l’Italia da Bologna in giù. Quanti erano gli emiliani in piazza che effettivamente voteranno a gennaio? Non saprei. Ma mi ha divertito leggere i post su Facebook dei miei “amici” orgogliosi di esserci nelle foto sardinesche: uno di Napoli, un toscano, una marchigiana, due pugliesi…
Quella delle Sardine è un’operazione costruita ottimamente a tavolino, da esperti di comunicazione abbastanza geniali che sapevano che l’ouverture a Bologna sarebbe stata la tappa più importante, perché poi il resto sarebbe venuto da sé, opportunamente amplificato dall’informazione mainstream, come sta accadendo. Sapevano ad esempio che il target è un cittadino a cui la politica fa ribrezzo e i partiti peggio (questo lo sa anche il candidato Pd Bonaccini, il quale si guarda bene dall’associare la sua immagine a quella di un partito); che però ha una specie di voglia di manifestare rimanendo libero da etichette, di non essere soli ma in tanti senza che questo comporti chissà quale impegno; di rinfacciare alla politica di non occuparsi dei problemi, senza l’obbligo di avere delle proposte, poi, per risolverli quei problemi. E poi, certo, individuato il nemico – la Lega e Salvini – un po’ di Bella Ciao, un po’ di liberalismo, di integrazione (in che senso? Boh), diritti per tutti, di essere più moderni… E sapevano che le truppe per questo esercito erano abbondantemente disponibili nel milieu universitario e post-universitario, libertario e ipercollegato, vagamente nostalgico e borghese della città.
In definitiva, quella accennata è la perfetta descrizione del nulla politico, il “vuoto” a cui si allude nelle dichiarazioni riportate. L’inciampo di CasaPound ne è una conferma. Le Sardine non fanno politica, ne danno però benissimo l’impressione. Qualcuno ha creato in laboratorio e con potenti strumenti un’efficace parvenza di mobilitazione, un’immagine della politica da società dello spettacolo, i cui mezzi e linguaggi, infatti, sono adoperati da chi “ci lavora ventiquattr’ore al giorno” con grande padronanza.
Così in migliaia ci cascano, partecipando davvero un po’ come se si partecipasse da protagonisti ad uno spettacolo in cui si può invece solo applaudire: d’altronde in migliaia vanno anche ai concerti, credendo nel talento spontaneo dei loro divi eternamente giovani, o allo stadio, convinti che il calcio sia un sport pulito basato su puri valori atletici. Ma almeno, in questo caso, hanno ben chiaro che non è tutto “senza un euro”.