Fa una certa impressione leggere certi recenti commenti sui social di aderenti al movimento delle Sardine, che riguardano l’epidemia di Covid-19 e la Regione più colpita, la Lombardia. Qualcuno commenta, in pratica, che i lombardi se la sono meritata perché, in definitiva, hanno dato la maggioranza regionale alla Lega e al centrodestra.



Le Sardine, ricordiamolo, sono nate proprio per opporsi alla Lega che rischiava di vincere in Emilia-Romagna. Il loro fondamento, dunque, è un ideale “contro”, e il nemico ha nome e cognome, si chiama Matteo Salvini. Solo successivamente, pare, si è cercato di articolare meglio il cromosoma ideale del movimento, in cui il sentimento principale è il non-odio. Da qui le adunate al ritmo di Bella Ciao, le iniziative locali per la concordia in tanti comuni italiani, le facce da bravi ragazzi normali che fanno la gita dai Benetton, i partigiani e la resistenza, l’assunzione dell’apparato valoriale della tradizione antifascista, l’endorsement incondizionato a Conte e al governo.



Non è difficile vedere, però, che sotto la coltre di questo buonismo ittico e della sbandierata (un po’ retoricamente in realtà) battaglia contro l’odio ribolle qualcosa di strano, che ogni tanto viene a galla, soprattutto sui social. Come un cane che si morde la coda, l’odio riemerge in qualcuno di coloro che lo combattono. Non si dimentica l’attivista sardinesco che, durante la campagna elettorale emiliana, augurò a Salvini il tumore; e ora questi altri che gioiscono perché sui lombardi, elettori di leghisti, si è abbattuta l’infezione e la morte per Covid.

Non risultano prese di posizione e soprattutto di distanza di Mattia Santori, leader delle Sardine, o di qualcun altro della sua cerchia di fronte a queste farneticazioni: non so in realtà che pensare di Sartori. La conduzione del movimento è poco chiara, per cui è preferibile rimanere ai fatti. Uno dei quali, ad esempio, racconta che ad aprile le Sardine scrissero al premier Conte chiedendo di commissariare la Lombardia perché giudicavano inadeguata la gestione del virus da parte della Regione.



È chiaro invece che Santori & Co. (tra i quali ci sono persone diverse come Lorenzo Donnoli di “Futura” o Jasmine Cristallo) conducono un movimento a forte impronta moralista. Fin dal Dna le Sardine hanno diviso nettamente il mondo in buoni e cattivi, auto-eleggendosi giudici degli uni e degli altri fino a giungere, come abbiamo visto, a chiedere il commissariamento di un’assemblea regionale democraticamente eletta solo perché eletta dalla metà cattiva.

Caratteristica di questo genere di movimenti è di predicare amore e giustizia e suscitare invece odio e tirannide. La madre dei Robespierre è sempre incinta. D’altronde sappiamo bene che è difficile controllare i social e che questi sono spesso la palestra di depressi e repressi che sfogano lì le loro pulsioni incontrollate e le loro farneticazioni. Occorrerebbe dare il giusto peso a cose del genere e imparare a perseguire individualmente i violenti, anche se solo leoni da tastiera, distinguendoli dalla maggioranza corretta.

Occorrerebbe farlo sempre, però. Anche quando la distinzione manichea di buoni e cattivi si rivolge alla parte cattiva, come ha fatto recentemente Repubblica, ad esempio, che ha appioppato a tutte “le destre” qualche disgraziata dichiarazione contro il Presidente della Repubblica o sproloqui vari durante le manifestazioni romane del 2 giugno.

Non si può imputare ai leader la colpa di imbarcare a loro insaputa qualche invasato, né estendere universalmente a tutto un movimento o a un’ala politica le scemenze pronunciate da pochi. La colpa, semmai, è quella di non sbatterli fuori dalla barca, una volta individuati; per questo restiamo in attesa di una limpida e netta presa di distanza di Santori o di chi per lui rispetto a quanto alcuni pesciolini hanno scritto sui lombardi.

Infine, attenzione al moralismo manicheo: indicare incessantemente, ad ogni occasione, il brutto e cattivo potrebbe avere davvero come conseguenza l’odio e la farneticazione opposta e gettare su tutti un’immeritata ombra equivoca.

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