Duecento per cento e sedicimila. Da veterano della politica economica, Paolo Savona ha voluto sigillare con due macro-numeri la sua prima relazione annuale da presidente della Consob: la prima che abbia correttamente ricollocato l’attualità dei mercati finanziari nell’impasse dell’azienda-Paese dai tempi di Tommaso Padoa Schioppa, altro big della scuola Bankitalia approdato al vertice dell’autorità di Borsa.
200 per cento è il livello cui, secondo Savona, potrebbe spingersi il rapporto debito/Pil italiano nel quadro di una terapia d’urto per rianimare l’economia, da dieci anni in recessione. È una chiara provocazione politico-intellettuale: contro la rigidità astratta, acritica, burocratica, politicamente manipolabile del parametro Ue in base al quale l’Italia è stata posta sotto procedura d’infrazione da Bruxelles. È trasparente la critica macroeconomica a un modello datato, statico, fondato su convenzioni: su parametri scolpiti nella pietra ma sostanzialmente arbitrari, misurati a cadenze annuali e valutati in base a percorsi tecnocratici sempre più sganciati dalle reali dinamiche macroeconomiche. È incisiva la contestazione di un approccio all’economia inesorabilmente votato alla “punizione” ex post di un Paese inadempiente alle convenzioni perché in decrescita, ma drammaticamente incapace di stimolare sviluppo in quel Paese, certamente non per decreto. Né manca la denuncia istituzionale del rischio di uso scorretto di parametri apparentemente neutri nella competizione politico-economica fra Paesi-membri.
La seconda provocazione numerica ha la stessa natura della prima e va a sostenerla. 16mila miliardi è il valore della ricchezza privata complessiva del Paese, fra immobili e attività finanziarie. È pari a quasi sette volte il debito pubblico nazionale (2.373 miliardi, contabilmente oltre la linea rossa del 130% del Pil). Nel 2015, quando andò definitivamente in crisi, la Grecia esponeva un rapporto debito/Pil del 175% rispetto a un Pil di 195 miliardi di dollari e a una ricchezza privata non superiore a mille miliardi, meno di tre volte il debito. E mentre ripete che “l’Italia non è la Grecia”, Savona non si limita a rispondere alle pressioni politico-mediatiche dell’Europa di Bruxelles: mette in discussione critica l’ipotesi buro-tecnocratica che un Paese in difficoltà economico-finanziaria vada obbligatoriamente “curato” solo con un salasso di ricchezza privata per compensare il debito pubblico. Un classico caso di intervento da manuale con alta probabilità di uccidere il malato, anche se con piena soddisfazione dei custodi del manuale.