Insieme alla Nadef, venerdì scorso Giorgia Meloni ha presentato in conferenza stampa una norma finalizzata a offrire, già dal prossimo gennaio, fino a 2 miliardi di metri cubi di gas di produzione nazionale alle aziende gasivore a un prezzo calmierato. L’idea è quella di condizionare nuove concessioni (per giacimenti sopra i 500 milioni di metri cubi), anche in deroga al Pitesai, alla cessione decennale di una parte dei diritti (almeno il 75% nei primi due anni) sui volumi potenziali di estrazione a prezzi concordati e, ragionevolmente, inferiori a quelli di mercato, al Gse, che li distribuirà poi alle imprese.
La Premier aveva spiegato che tale norma sarebbe stata presentata come emendamento al Decreto aiuti-ter attualmente all’esame del Parlamento, ma a quanto pare verrà invece inserita nel prossimo Decreto aiuti che il Cdm dovrebbe approvare già oggi. Michele Marsiglia, Presidente di FederPetroli Italia, non nasconde di ritenere l’apertura del presidente del Consiglio a nuove estrazioni “forte, coraggiosa e importante. Sappiamo che ci vorrà tempo e che non sarà un percorso facile. Noi siamo pronti a fare la nostra parte e offriamo la massima disponibilità al Governo e ai Ministeri competenti per programmare e studiare gli step e i processi di eco-sostenibilità per le fasi di trivellazione e produzione dei siti e giacimenti da utilizzare. Sarà importante, però, anche lavorare e dialogare con le comunità locali».
In attesa di vedere come sarà scritta la norma, e sulla base quindi delle dichiarazioni finora rilasciate, qual è l’aspetto che ritiene più importante?
Sicuramente il fatto che si è parlato di concessioni in zone comprese tra le 9 e 12 miglia dalla costa. Rappresenta un aspetto importante perché attualmente il limite è a 12 miglia. Si tratta di una soglia fissata da una norma contenuta nella Legge di stabilità 2016 e che è stata recepita anche dal Pitesai, il cui iter di approvazione si è concluso all’inizio di quest’anno.
È così importante scendere sotto le 12 miglia?
Sì, perché andando oltre tale soglia spesso le trappole petrolifere, specialmente in alcune zone dell’Adriatico, finiscono in acque internazionali. E nel Canale di Sicilia è molto complicato riuscire a stare oltre le 12 miglia dalla costa. Inoltre, più a largo si va, più crescono i costi per la costruzione di un gasdotto o un oleodotto fino alla terraferma, a meno di non prevedere l’utilizzo di una nave di trattamento a largo. C’è poi un altro aspetto importante.
Quale?
In passato sono stati già rilasciati permessi sotto le 12 miglia e in alcuni casi sono stati persino compiuti prospezione e altri investimenti, salvo dover poi fermare tutto a causa dei cambiamenti normativi. Pensi che ci sono 94 piattaforme ferme, per motivi ostativi di legge, sotto le 12 miglia dalla costa: basterebbe autorizzarne la messa in produzione per ottenere un rapido risultato. Ci sono anche pozzi a terra in questa condizione. Credo che prima che a nuove trivellazioni bisognerebbe puntare su questo potenziale di produzione nazionale.
Si parla di deroghe al Pitesai. Non converrebbe riscriverlo?
È vero che è stato approvato pochi mesi fa, ma effettivamente sarebbe meglio riscriverlo, anche per evitare che rispetto alle deroghe ci siano poi eventuali ricorsi da parte di compagnie petrolifere che venissero penalizzate rispetto ad altre.
Vede delle criticità o comunque dei possibili miglioramenti nel provvedimento per come annunciato?
In primo luogo, va detto che la soglia minima dei 500 milioni di metri cubi per i giacimenti da utilizzare di fatto taglia fuori le compagnie petrolifere più piccole. Inoltre, si parla di gas, dimenticando che quando si fa una perforazione la prima cosa che viene in superficie è l’olio. Che cosa si intende farne?
Se si parla di nuove concessioni, sappiamo che ci vorrà poi del tempo prima di poter contare sulla materia prima estratta. Come fa il Governo a ipotizzare che da gennaio ci possano essere fino a 2 miliardi di metri cubi da girare alle aziende gasivore a prezzo calmierato?
In effetti, per la produzione da nuovi giacimenti, considerando anche i tempi delle perforazioni, ci possono volere anche 2-3 anni. L’Esecutivo avrà sicuramente fatto delle valutazioni considerando uno sviluppo maggiore dei giacimenti esistenti delle grandi compagnie, come Eni, Edison e Shell. C’è però da dire che si tratta principalmente di infrastrutture datate da cui non si può ricavare molto di più senza fare investimenti in perdita.
Un nodo non da poco sembra essere anche quello relativo al prezzo concordato con cui cedere quantità di gas piuttosto importanti.
Il Governo vuole assicurarsi che questi nuovi permessi servano a garantire un costo “calmierato” per i consumi interni di alcune imprese. Non sappiamo, però, quali saranno i prezzi energetici vigenti al momento in cui sarà massima la produttività dei giacimenti interessati. Sarebbe quindi opportuno fissare il prezzo nel momento in cui inizierà l’estrazione, per evitare che si facciano degli investimenti in perdita.
(Lorenzo Torrisi)
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