Il Governo italiano ha deciso di non posticipare a settembre le scadenze fiscali previste per luglio. La decisione è apparsa a molti “singolare” perché il lockdown in Italia è stato particolarmente duro e perché le misure di sostegno a fondo perduto sono state largamente inferiori alla media europea. Posticipare a settembre avrebbe permesso ad attività che hanno riaperto da poche settimane di cercare di recuperare parte del reddito perso nei mesi di chiusura totale. Chi dovrà pagare le tasse è in molti casi in condizioni di salute economica molto grave oppure è appena uscito dalla convalescenza. Il mancato posticipo è punitivo per intere categorie di lavoratori con redditi al lumicino o assenti da molti mesi. Oltretutto una dilazione di due mesi avrebbe avuto qualche effetto positivo sui consumi.
La spiegazione di questa decisione in una fase in cui l’Italia ha appena riaperto è stata da molti messa in relazione alla complicatissima situazione delle finanze pubbliche. I fondi europei, incluso quello “veloce” del Mes, non arriveranno nei prossimi mesi, anche in caso di approvazioni immediata al Parlamento, e quindi sarebbero a rischio sia le pensioni, sia gli stipendi pubblici. Se questa è la situazione significa che la scelta del Governo nasconde una “non scelta”. Per l’esattezza una finta “non scelta”.
Il Governo italiano potrebbe infatti imporre una patrimoniale per rimpinguare le casse statali. Si parla di patrimoniale, con varie ipotesi, da mesi, solo che la norma viene giustamente vissuta come iniqua perché colpisce tutti a prescindere dalla situazione lavorativa, dall’oculatezza o meno della gestione dei risparmi e dei redditi famigliari e perché colpisce lavoratori che magari negli ultimi anni hanno avuto una carriera lavorativa incidentata o che semplicemente hanno lavorato di più. C’è un altro aspetto particolarmente antipatico in questa fase perché intere categorie sono state tutelate, finora, completamente anche con i “servizi” chiusi.
Il Governo italiano potrebbe in alternativa ridurre pensioni e stipendi pubblici, anche solo per qualche mese e per superare l’emergenza. Sarebbe una soluzione difficilissima politicamente perché bisognerebbe ammettere che il sistema è sbilanciato, che lo Stato non si può più permettere questo volume di spesa corrente e poi perché si romperebbe un tabù assoluto rompendo la “finzione” che tutto vada bene. Questo Governo è sicuramente troppo fragile per reggere una soluzione di questo tipo.
La terza ipotesi è quella “scelta” dal Governo italiano e cioè passare all’incasso su una categoria devastata dalla crisi dopo anni di aliquote fiscali reali abbondantemente sopra il 50%. Politicamente è più complicata degli anni scorsi perché il mito dell’artigiano evasore alla terza crisi, e che crisi!, degli ultimi dieci anni è decisamente appannato. In questo modo si evitano le scelte scomode e si decide di non scegliere. Invece è solamente la scelta più facile e soprattutto quella più miope in assoluto.
Le attività non supportate e tassate falliranno e non riapriranno più; se non riaprono più non saranno mai più in grado di generare un euro di reddito o di tasse. Le tasse con cui si pagano stipendi, pensioni e ospedali. Alla fine le prime due scelte ci verranno imposte, inevitabilmente, dall’alto levando alla politica l’onore delle decisioni scomode. Nel frattempo chiuderanno tante attività private che forse si sarebbero potute salvare.
Al prossimo giro, per inciso, imporre il lockdown sarà molto più difficile. Prima ti faccio chiudere, poi non ti lascio un euro a fondo perduto, poi ti tasso. Ce ne è abbastanza per i disordini “sociali” che i giornali prevedono in questi giorni per l’autunno. Forse bisognerebbe dire la verità e trovare qualcuno che sia abbastanza intelligente e credibile per convincerci che i sacrifici di oggi non saranno sprecati. La “rendita” da decenni è il faro che illumina l’economia italiana. Una rendita da mantenere a tutti i costi anche con tassazioni vergognose sulle pmi. Oggi bisogna decidere perché la “rendita” come modello economico non è più sostenibile.