Antonella e Lorena sono cresciute con genitori diversi da quelli biologici. E questa non sarebbe una notizia dato che, come sappiamo, può succedere per i motivi più diversi che i bambini possano essere affidati a contesti familiari altri da quelli originari. Nel caso invece delle due bambine nate nel 1989 all’ospedale di Canosa di Puglia, si trattò di uno scambio alla nascita. Per 23 anni la loro vita e quella delle loro famiglie si svolse in un inconsapevole equivoco, in una trama di relazioni “improprie” determinate da un errore. E fu del tutto casuale, nel 2012, la scoperta della verità: alcune foto su Facebook che evidenziavano delle somiglianze eccezionali tra donne che non avevano alcun rapporto di parentela, indussero gli interessati ad andare a fondo della questione che l’esame del Dna avrebbe definitivamente chiarito: Antonella e Lorena non erano state consegnate alle loro mamme biologiche, ma scambiate in culla nella nursery dell’ospedale.
Da quel momento la loro vita, fino ad allora “normale”, parve attraversata da uno sciagurato e irrimediabile inganno: i protagonisti si sentirono defraudati della propria situazione reale, costretti, pur inconsapevolmente, a trascorrere anni significativi dell’esistenza in una trama impropria, “sbagliata”, persino sventurata rispetto a quella che il vero destino avrebbe assicurato.
Sul piano legale, nel tempo, l’iter intrapreso per regolarizzare l’anomalia è arrivato al capolinea: è stato riconosciuto un risarcimento dei danni di circa un milione di euro a Lorena e alla sua vera famiglia (madre, padre e fratello), mentre ad Antonella la Regione pagherà circa mezzo milione, risarcimento molto più basso dei 3 milioni chiesti dalla donna che ha alle spalle una storia particolarmente infelice e travagliata per cui era stata adottata da un’altra famiglia.
L’idea di risarcimento, la pretesa cioè di restituire qualcosa che è stato tolto quantificando in denaro il rimedio al disagio prodotto dal sovvertimento di dinamiche relazionali e affettive, appare comunque velleitaria e parziale, inadeguata a risanare un assetto che riguarda il vissuto e il destino personale. Improbo, quasi surreale, il tentativo di riformulare un’esperienza già vissuta da trascinare su un binario diverso dove i desideri frustrati e le ingiustizie patite riaffiorano nella ricerca di una ricompensa che non potrà mai restituire giorni diversi da quelli vissuti. In 23 anni di relazioni familiari intessute nella totale inconsapevolezza di quell’errore, diventa difficile immaginare con realismo un’esistenza che ricomincia ex novo; più probabilmente si può forse prevedere un senso di rammarico nell’evocare il sogno di una vita supposta migliore. E potrebbe affiorare il rischio, di fronte all’imprevisto sconvolgimento affettivo, di cadere nell’incertezza sulle proprie origini, di sentire difficile una riconciliazione con la propria storia.
In effetti una tale vicenda apre uno scenario paradossale, denso di interrogativi sulla complessità del vivere e sulla consistenza di sé stessi alle prese con il reale che si presenta carico di imprevisti, di limiti e contraddizioni. Eppure proprio un evento così contraddittorio può diventare l’occasione per una domanda seria sulla vita e sui rapporti umani spesso segnati da errori, casualità più o meno sensate, a volte perfino da palesi ingiustizie. Evenienze difficili che non fanno venir meno la possibilità di stare di fronte a ogni fatto riscoprendo un’originale gratitudine per gli accadimenti della vita che, proprio mentre sfuggono a qualsiasi pretesa di dominio, possono rivelare il loro senso nascosto.
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