Peggiora drasticamente l’inchiesta sul cosiddetto ‘scandalo del sangue infetto‘ che dall’inizio degli anni 2000 occupa (a fasi alterne) le prime pagine dei quotidiani britannici, con un’inchiesta avviata ormai dal 2017 e che entro il 20 maggio dovrebbe giungere ad una qualche conclusione con la pubblicazione dei risultati raccolti dagli inquirenti. A rivelare una nuova (preoccupante) trama è stata l’emittente britannica BBC, che è riuscita a mettere le mani su quelle carte processuali sul sangue infetto che verranno presentate tra un mese esatto, scoprendo che tra i tanti (tantissimi) pazienti coinvolti ci sarebbero stati anche numerosi bambini.
La vicenda affonda le sue radici nella testimonianza di Luke O’Shea-Phillips, un 44enne tra i pochissimi sopravvissuti a quel periodo nero della sanità inglese, che ha raccontato alla BBC di essere stato ricoverato per un’infezione da epatite C nel 1985, quando aveva solo 3 anni. Venne trattato, e specifica chiaramente “senza il permesso” di sua madre, con il Fattore VIII, un prodotto sanguigno notoriamente (sia oggi che all’epoca) a rischio infezione ma molto efficace per contenere il sanguinamento. A lui e a moltissimi altri pazienti più o meno della stessa età venne somministrato il prodotto del sangue, consci che fosse probabilmente infetto, per capire se un trattamento termico avrebbe potuto ridurre i rischi: un esperimento per il qualche O’Shea-Phillips si è sentito “una cavia negli studi clinici” di test che “avrebbero potuto uccidermi”, come peraltro è capitato alla maggior parte degli altri pazienti.
Lo scandalo del sangue infetto: almeno 2.400 morti nel Regno Unito
Facendo un passo indietro allo scandalo del sangue infetto, oltre alla sperimentazione sui bambini (di cui è ancora difficile comprendere l’effettiva portata, anche se si suppone ne siano stati coinvolti centinaia e centinaia), si stima che siano morte almeno 2.400 persone, infettate con il virus dell’HIV o con l’epatite C. Situazione di cui, secondo la BBC, il governo inglese era ben cosciente e decise (nonostante gli evidenti rischi) di finanziare personalmente le sperimentazioni, contribuendo forse anche ad insabbiare tutta la questione del sangue infetto.
Ad oggi trovare dei responsabili è del tutto impossibile, soprattutto perché trattandosi di medici che hanno lavorato tra gli anni ’70 e ’80 oggi sono in gran parte deceduti, ma non si fermano le richieste ormai decennali dei parenti delle vittime e di chi ha contratto danni permanenti (come O’Shea-Phillips). Le motivazioni tecniche dello scandalo sono legate al fatto che nel Regno Unito degli anni ’70 scarseggiavano i prodotti sanguigni, con la Sanità costretta ad acquistare sangue per le trasfusioni dagli Stati Uniti, che risultò infetto perché prelevato da carcerati ed ex tossicodipendenti.