Quando qualche anno fa il presidente dell’Agenzia mondiale antidoping Witold Bańka dichiarò tutto eccitato che la Cina aveva fatto una donazione straordinaria alla WADA di quasi un milione di dollari, si capì che da lì a poco sarebbe emersa qualche porcheria. Per carità, nessuna dote profetica in quella previsione, ma un semplice esercizio di memoria: un decennio prima era successa la stessa cosa con altri protagonisti. Generosa elemosina extra di Putin all’Agenzia (1.141.449 euro) e diluvio di medaglie olimpiche a Sochi, salvo scoprire poi provette di urina ripulita e reticenza della WADA rispetto alle denunce di atleti e funzionari russi pentiti del doping di Stato.
Allora ci pensarono i funzionari dell’Agenzia legati al FBI americana a spifferare tutto a un giornalista televisivo tedesco, il pentolone fu scoperchiato e la Russia sospesa. Stavolta si è mossa ancora la FBI ed è andata a sfruculiare le mail intercorse tra la WADA e l’Agenzia antidoping cinese (CHINADA), scoprendo che 23 atleti cinesi del nuoto poco prima dei Giochi Olimpici di Tokyo 2021 erano risultati positivi alla trimetazidina (TMZ). Contrariamente al protocollo non erano stati sospesi ma, complice la WADA, lasciati gareggiare alle Olimpiadi, portando come bottino a Pechino 5 medaglie. A beneficiare della soffiata del FBI stavolta non è stato unicamente il solito giornalista tedesco Hajo Seppelt e la tv ARD, ma anche il New York Times.
Qualcuno pagherà per questo nuovo scandalo? Non è detto.L’esperienza ci ha vaccinato. Di scontato c’è solo che le istituzioni sportive continuano a non avere credibilità alcuna. Si tiene in piedi un carrozzone di controllo per salvare le apparenze (il rapporto tra atleti controllati e trovati positivi ha proporzioni inverosimili), ma lo si piega ai propri interessi. Se ad avvantaggiarsene troppo è un potente Stato rivale, lo si smaschera attraverso i propri servizi segreti e allora quell’altro si vendica mobilitando la propria intelligence e spifferando i vantaggi del nemico (le esenzioni terapeutiche, ad esempio). Se invece ad essere danneggiati sono atleti che hanno “disturbato” il sistema, ma appartengono a uno Stato marginale, non influente e magari con qualche scheletro nell’armadio, allora non c’è rimedio, come insegna il caso Schwazer.
A proposito di Schwazer, pensate per caso che dopo il fronte russo e quello cinese si stia per aprire anche il fronte arabo? Se si fosse presa sul serio la denuncia dell’ex marciatore (svelò che un Paese arabo aveva tesserato e portato alle Olimpiadi di Tokyo un allenatore …radiato), qualcuno avrebbe potuto chiederne conto alle autorità sportive e qualche altra magagna sarebbe saltata fuori, ma si sa: finché non pestano i piedi a qualche potentato è pura ingenuità pensare che possa succedere. Anche perché di quel Paese arabo è assiduo frequentatore il capo dell’atletica mondiale…
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