Sul tema dell’utero in affitto Lucetta Scaraffia si schiera al fianco della premier Giorgia Meloni. Lo dice esplicitamente la stessa storica e giornalista sulle colonne de La Stampa, prendendo le difese della presidente del Consiglio, criticata per aver definito l’utero in affitto una forma di sfruttamento del corpo femminile. La sua posizione è inammissibile solo perché lo ha detto lei? Questa la prima ipotesi di Scaraffia, che infatti si chiede: «Davvero non siamo più capaci di ragionare con libertà e logica, senza condizionamenti ideologici?». A chi muove critiche contro Meloni suggerisce di tenere presente «che la gente l’ha votata forse anche perché sa che le femmine sono diverse dai maschi, sa che nessuna donna ricca ha mai offerto né tanto meno venduto il suo utero per “aiutare” una coppia sterile, ed è convinta che è meglio avere una mamma e un papà piuttosto che un solo genitore o due dello stesso sesso?».



Peraltro, secondo Lucetta Scaraffia andrebbe tenuto anche conto del fatto che le ideologie gender e l’incoraggiamento al cambiamento di sesso nei giovani non sono battaglie femministe in realtà. A tal proposito, cita statistiche sui cambiamenti di sesso tra i giovani negli ultimi anni da cui è emerso che «sono molto superiori i passaggi da femmina a maschio che il contrario. Una evidente sconfitta del femminismo, bisogna ammettere».



“UTERO IN AFFITTO? VA SANZIONATO DALLA LEGGE”

Il femminismo, invece, dovrebbe soffermarsi sul fatto che «ci sono ancora molte battaglie da combattere che tuttavia sono scomparse dai radar dei partiti, anche da quelli di sinistra che si fanno un punto d’onore nell’autoproclamarsi femministi». Ad esempio, l’estensione dell’apertura degli asili nido e delle scuole nei mesi estivi, cancellazione delle differenze di salario tra uomini e donne, giusto qualche esempio di Lucetta Scaraffia. La storica e giornalista su La Stampa riconosce comunque il fatto che ci siano femministe e donne di sinistra che «combattono perché questa nuova forma di sfruttamento del corpo femminile anziché ammessa venga invece sanzionata dalla legge. Se ne sono accorte ma a loro rischio e pericolo, dal momento che corrono il rischio dell’accusa infamante di omofobia». Ed è proprio quello che, secondo Scaraffia, sta accadendo proprio alla premier Giorgia Meloni.

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