Secondo il fondatore della scuola francese di guerra economica Christian Harbulot affinché l’Europa possa rinascere e avere un ruolo di grande rilevanza dal punto di vista politico e militare, le sue élites non solo devono riflettere sul ruolo determinante della guerra economica, ma soprattutto devono ricominciare a riflettere sul ruolo rilevante del concetto di potere. In caso contrario l’Europa rimarrà semplicemente un’appendice degli Stati Uniti o una sorta di vaso di coccio – come avrebbe detto Manzoni – tra vasi di ferro, quali gli Stati Uniti, la Cina, i Paesi arabi e i Paesi africani esportatori di petrolio e di gas, come d’altra parte l’attuale conflitto tra Russia e Ucraina da una parte e quello tra Israele e Palestina dall’altra stanno ampiamente dimostrando.
La guerra economica è per Harbulot l’espressione estrema dei rapporti di potere non militari. Esiste ovviamente una forte correlazione tra guerra militare e guerra economica. Le questioni economiche giocano un ruolo importante nelle cause dei conflitti. Tutto ciò appare nel lungo periodo della storia. Nel rapporto originario con la sopravvivenza nelle società preistoriche, l’acquisizione della sussistenza implica un rapporto violento. In una fase successiva, anche il rapporto tra nomadi mobili e predatori e popolazioni sedentarie attaccate alla terra e prese di mira da saccheggi e razzie nasce da un conflitto la cui origine è economica. In un ordine diverso, le società basate sulla schiavitù si basano anche sulla sconfitta militare degli schiavi o sull’invasione e occupazione del loro territorio. Più vicino a noi, è la ricerca di nuove risorse che determina la conquista dei territori, come è stato per la conquista spagnola dell’America o l’espansione coloniale del XIX secolo. Il fenomeno è spesso mascherato da altre giustificazioni, quelle derivanti da antagonismi religiosi o da litigi dinastici, ma resta comunque decisivo. Le cose sono cambiate con il XIX secolo, che vide l’emergere dei mercati aperti e del discorso liberale che li precedette o lo accompagnò. Il liberalismo, allora prevalente, veniva presentato come la migliore garanzia per il mantenimento della pace e proprio per questo esclude qualsiasi dibattito o riflessione relativa alla guerra economica.
Ma, nonostante le bugie e le omissioni, la storia degli ultimi due secoli ha dimostrato che le rivalità economiche devono essere considerate in termini di equilibri di potere, sempre più associati alle realtà militari. Dove non c’è conflitto, in senso stretto, possiamo ritrovarci, nonostante ciò, in una dialettica del conflitto. Il confronto economico consenta di accrescere il potere di uno Stato. A tale proposito, Harbulot sottolinea come per decenni la riflessione sul potere è stata assente, e il minimo che si possa dire è che difficilmente attira l’attenzione dell’opinione pubblica. De Gaulle, ai suoi tempi, pensava in termini di potere, anche se non usava questa parola. Preferiva quello della “grandezza”, ma quest’ultimo concetto era visto come obsoleto o anacronistico già dalle generazioni contemporanee di quell’epoca. In effetti, la parola “potere” sembrava riferirsi all’oscurità del totalitarismo. Dopo de Gaulle, la priorità data alla costruzione europea ha fatto sì che la Francia rinunciasse in gran parte alla sua libertà d’azione e si integrasse nel gruppo euroatlantico.
Un esempio di quanto sia reale e concreto il potere – alludiamo ora a quello degli Stati Uniti – è dimostrato in modo esemplare dal caso di Edward Snowden, la cui defezione ha rivelato la portata dello spionaggio portato avanti su scala mondiale dai servizi americani, in particolare dalla NSA (National Security Agency). Qualunque governo può considerarsi condannato a scomparire se non tiene rapidamente conto delle esigenze del potere. Al contrario l’Europa è andata in una direzione esattamente contraria. L’Europa è allo stato attuale soltanto uno spazio geografico dai limiti incerti, posto sotto l’egemonia politica, ideologica e militare degli Stati Uniti. Date queste condizioni, l’autonomia dell’Europa è oggi un’utopia. Dopo l’obsolescenza, nel dopo Guerra Fredda, della solidarietà ideologica che si era formata contro la minaccia sovietica, appare chiaramente che l’allora alleato divenne un avversario, che attuò il programma formulato nel 1917 dal presidente americano Wilson e dal suo consigliere colonnello Edward Mandell House: “L’Inghilterra e la Francia non hanno affatto le nostre stesse opinioni sulla pace. Quando la guerra sarà finita, potremo costringerle a seguire il nostro modo di pensare, perché allora, tra le altre cose, saranno nelle nostre mani anche finanziariamente”.
Da allora, il caso Snowden ha screditato, agli occhi di molti, il ruolo degli Stati Uniti come motore della democrazia globale. Gli americani oggi beneficiano della duplicità propria del liberalismo, che sfruttano abilmente al servizio dei propri interessi imponendo un equilibrio di potere a loro favorevole. Sebbene questa nazione sia stata costruita sul genocidio dei nativi americani, le sue élites intendono dire al mondo dov’è il bene e imporre ovunque l’ideologia dei diritti umani. Questo vero e proprio cavallo di Troia ha lo scopo di neutralizzare le reazioni identitarie e trasformare il mondo in un vasto mercato globale. Il singolo consumatore, controllato dalla nuova versione del Grande Fratello orwelliano, sarà tagliato fuori dalle sue radici etniche e culturali e sarà condannato a sottomettersi a una globalizzazione fatale per le diverse identità che costituiscono la ricchezza della società. Gli europei devono innanzitutto pensare in termini di rapporti di potere, esprimere un reale desiderio di potere e affermare ancora una volta una chiara consapevolezza della propria identità, essenziale per affrontare le sfide del mondo che li aspetta.
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