1. È certamente difficile negare come la politica offensiva attuata da Erdogan sia volta a consolidare il suo consenso politico interno. Servirsi di un’operazione militare a fini di stabilità politica interna è d’altra parte una delle costanti della storia.

2. Occorre aggiungere che le scelte fatte dall’amministrazione Trump stanno rafforzando il ruolo di leadership russa nel contesto mediorientale a danno sia degli Usa che della Nato. Ebbene una tale scelta non dovrebbe sorprendere gli analisti, dal momento che è – almeno in parte – coerente con quanto indicato dal documento strategico americano National Security Strategy del 2017 (Nss 17) che pone la propria attenzione sulla politica di proiezione di potenza della Cina e della Russia attribuendo di conseguenza una rilevanza minore al quadrante mediorientale. Questa scelta, per quanto comprensibile, nel contesto attuale del conflitto turco rischia paradossalmente di rafforzare proprio la Russia e di danneggiare in modo significativo il ruolo di leadership degli Usa.



3. Emerge in modo sempre più chiaro l’intrinseca debolezza politica della Ue che, fino a questo momento, non ha saputo o voluto porre in essere un’azione offensiva sul fronte della guerra economica (come potrebbero essere le sanzioni economiche analoghe a quelle attuate da Trump nei confronti della Cina).

A tale proposito la volontà di sospendere la vendita di armi alla Turchia da parte dell’Italia, della Francia, della Spagna della Germania costituisce semplicemente una mossa propagandistica volta a salvaguardare la propria credibilità politica di fronte alla pubblica opinione europea e interna. Non dobbiamo infatti dimenticare che le forze armate turche hanno posto in essere ben quattro operazioni militari – fra le quali “Scudo dell’Eufrate” e “Ramo d’ulivo” – nonostante le limitazioni imposte dagli Stati Uniti.



4. L’uso dei migranti a scopo di deterrenza politica fatto da Erdogan si sta rivelando efficace, deterrenza che ancora una volta l’Ue potrebbe contrastare se avesse una politica unitaria sotto questo profilo.

5. L’appartenenza della Turchia alla Nato e la condanna rivolta proprio dai paesi della Nato all’azione offensiva turca determina una problema di credibilità sul piano giuridico, politico e militare da parte dell’Alleanza atlantica che si è palesato durante la conferenza stampa in Turchia dell’11 ottobre, quando proprio il segretario della Nato ha rivolto il proprio apprezzamento per il contributo turco alla Nato.



In sesto luogo, secondo quanto riferito dal New York Times vi sarebbe l’intenzione da parte degli Usa di evacuare le 50 armi nucleari tattiche che gli Stati Uniti avevano immagazzinato a lungo, sotto il loro controllo, nella base aerea di Incirlik in Turchia, a circa 160 km dal confine siriano. Se gli Usa intendessero veramente porre in essere una tale scelta non c’è dubbio che l’Alleanza atlantica rischierebbe di incrinarsi in modo significativo. Non dimentichiamoci infatti che da un punto di vista strettamente strategico la condivisione nucleare è parte integrante della politica di deterrenza nucleare della Nato in virtù della quale i paesi membri sono direttamente coinvolti e responsabili della protezione e dell’uso delle armi nucleari. Il Belgio, la Germania, l’Italia, i Paesi Bassi e la Turchia ospitano armi nucleari americane proprio perché tutto ciò rientra negli obblighi della strategia di deterrenza nucleare atlantica.

Sul piano tecnico le armi nucleari presenti in Turchia appartengono alla classe delle bombe B61, sorte e sviluppate durante la guerra fredda e, allo stato attuale, la Turchia potrebbe utilizzare la presenza di queste armi come strumenti di contrattazione con gli Stati Uniti analogamente a quanto sta facendo Erdogan con gli immigrati siriani. Al di là del problema squisitamente logistico relativo alla pericolosità di spostare armi di questa natura soprattutto durante un conflitto in corso, non dobbiamo né possiamo trascurare il fatto che recentemente il presidente turco ha espresso la volontà di sviluppare un proprio dispositivo di deterrenza nucleare assolutamente autonomo e distinto da quello atlantico. Volontà politica questa che, ancora una volta, va nella direzione di un progressivo e graduale allontanamento dall’alleato americano con lo scopo di ritagliarsi un ruolo sempre più rilevante nello scacchiere mediorientale.