Basterebbe aprire un buon manuale di storia moderna per comprendere con chiarezza che il carbone è stato il primo oro nero. Rappresentava più del 90% del bilancio energetico mondiale alla vigilia della prima guerra mondiale e rimase dominante fino agli anni 60. La sua presunta estinzione auspicata dagli esperti più o meno radicali è solo un’illusione. Vogliamo trovare una prova?
I paesi emergenti hanno rilanciato la produzione e il consumo globali. Questo spiega il paradosso: questa fonte di energia odiata per i suoi danni all’ambiente ha visto raddoppiare i suoi consumi dal 1980 al 2010. I paesi emergenti, infatti, stanno a loro volta intraprendendo l’estrazione del carbone su larga scala per sfruttare un’energia abbondante ed economica che hanno sfruttato fino ad ora poco e molto localmente; producono o importano (dall’Australia per i paesi asiatici): Cina, India, Brasile, Perù, Cile, Sud Africa, ecc. Ad esempio, in Cina il carbone costituisce il 70% del bilancio energetico e oltre l’80% dell’elettricità cinese. Il paese diventa durante i suoi “Trente Glorieuses” (1980-2010) il primo produttore e consumatore di carbone al mondo. Nel 2000 la Cina ha utilizzato tanto carbone quanto gli Stati Uniti. Oggi, quasi vent’anni dopo, la Cina consuma tre volte di più.
Dal 2010 il consumo di carbone rallenta nel mondo sotto l’effetto della crisi economica e soprattutto a causa degli sforzi di “decarbonizzazione”. Ma il declino del carbone è stato nuovamente interrotto nel 2017-2018 dal rimbalzo della crescita globale. Ma allora perché il carbone sembra così indispensabile a livello industriale?
Oggi il 38% della produzione di elettricità nel mondo è prodotta dal carbone contro il 15% del nucleare; era del 37,5% nel 1990, a riprova della permanenza di questa energia. Fornisce anche combustibili fluidi e combustibili liquidi sintetici (il Sud Africa è il primo ad entrare nella commercializzazione in quest’area). Il suo utilizzo potrebbe addirittura aumentare sotto l’effetto del forte aumento dei prezzi degli idrocarburi e sotto quello di nuovi usi come la produzione di idrogeno, che può essere presentato come un settore energetico del futuro, o quella dei combustibili liquidi. Quasi il 20% dell’idrogeno mondiale viene prodotto utilizzando carbone al termine di un processo di gassificazione.
Le riserve accertate sono gigantesche: circa 1 trilione di tonnellate. Le riserve di carbone recuperabili sono stimate cinque volte quelle del petrolio convenzionale. Le risorse effettive sono forse venti volte maggiori, secondo alcune stime. Un altro vantaggio del carbone è che i costi di produzione sono bassi, rendendolo il combustibile più economico al mondo, tra i 10 e i 30 dollari per tonnellata. E questi prezzi sono relativamente stabili, poco sensibili ai capricci politici a differenza degli idrocarburi.
Le riserve sono abbastanza ben distribuite in tutto il mondo, ma alcuni paesi sono meglio dotati. Sono anche i maggiori produttori mondiali: Stati Uniti (25% delle riserve mondiali, l’equivalente di cinque volte le riserve di petrolio dell’Arabia Saudita), Russia, Cina, India, Australia, Sud Africa poi Germania, Polonia, Indonesia, Kazakistan. Le differenze di resa tra questi diversi paesi si sono notevolmente ampliate, legate alle differenze in termini di meccanizzazione e progresso tecnico. La produzione più redditizia viene effettuata nelle miniere di grande superficie: Powder River Basin nell’America occidentale, Queensland australiano, Kalimantan indonesiano, Siberia orientale … Di fronte alle sfide dello sviluppo sostenibile, le aziende non considerano l’abbandono del carbone, ma lo sviluppo di tecnologie che ponga in essere il “carbone pulito”.
La Cop 21 (o accordo di Parigi) nel 2015 è stata segnata dalla condanna del carbone. E per una buona ragione: la quota del carbone nelle emissioni di CO2 ha superato quella del petrolio negli anni 2010. Le minacce all’ambiente sono molteplici: una risorsa fossile, rinnovabile solo su scala geologica, che danneggia l’ecosistema (in Cina, l’estrazione del carbone uccide ufficialmente 6mila persone all’anno, ma probabilmente più vicino a 20mila persone secondo fonti indipendenti).
Pertanto, la ricerca tecnologica vuole migliorarne l’utilizzo e riguarda un aumento dell’efficienza delle centrali a carbone, che consentirebbe di emettere meno anidride carbonica per unità di energia prodotta; la tecnologia del carbone polverizzato con trattamento dei fumi è in fase di sviluppo. È prevista anche la cattura dell’anidride carbonica, sia prima della combustione (per pre-gassificazione del carbone), sia durante la combustione (arricchendo il combustibile con ossigeno), oppure dopo la combustione (trattando i fumi). Si sta anche studiando modi per attuarlo: nelle vecchie miniere di carbone, nei pozzi petroliferi in via di esaurimento… Il progetto FutureGen negli Stati Uniti è all’avanguardia: una centrale a carbone da 275 MW a zero emissioni di carbonio.
I combustibili liquidi sono un campo promettente: i combustibili sintetici possono in teoria essere prodotti da qualsiasi materia prima contenente carbonio e idrogeno (carbone, biomassa o gas naturale). Il Ctl (Coal to Liquids) consente di produrre sostituti dei prodotti petroliferi dal carbone.
Il declino del carbone è già molto avanzato nell’Europa occidentale e nel Nord America, ma è in forte espansione in Asia: assorbe ora i tre quarti del consumo mondiale. Nel complesso, il suo prezzo molto basso rende i paesi in via di sviluppo ed emergenti molto legati a questo carburante. Il consumo globale di carbone, che era diminuito nel 2015 e nel 2016, ha ripreso a crescere nel 2017.
l’Europa rappresenta ancora l’8% del consumo mondiale. Alcuni paesi hanno abbandonato la produzione di elettricità termica dal carbone, come il Belgio e la Francia (chiusura delle ultime miniere nel 2004, termine previsto per le ultime centrali a carbone entro il 2021), e presto faranno Italia, Austria, Svezia, Regno Unito (fine totale dei settori nel 2025), ecc. Altri paesi stanno ancora utilizzando il carbone come soluzione alternativa al nucleare (in via di abbandono) per produrre elettricità: per esempio la Germania, che sta fermando il nucleare e si sta rivolgendo al solare e all’eolico, ma deve mantenere consumo di carbone e lignite per garantire la transizione (37% della produzione di elettricità); la Polonia, dove il carbone costituisce il 50% della produzione totale di energia e il 90% dell’elettricità, a causa delle esigenze di sviluppo economico, dell’abbondanza delle risorse nazionali, del timore di dipendere nei confronti della Russia. La Turchia, da parte sua, ha moltiplicato la sua produzione per 5 dagli anni 80 (sfruttando i bacini nel sud–est dell’Anatolia), mentre allo stesso tempo si sta intensificando la produzione nei Balcani.
Negli Stati Uniti, la produzione di carbone ha toccato il livello più basso degli ultimi tre decenni nel 2016: quest’anno, per la prima volta, la produzione di elettricità a gas ha superato quella del carbone, conseguenza questa sia del basso costo del gas che della legislazione anti–carbone (Clean Power Plan sotto Barack Obama). Tuttavia, la produzione non sta crollando e il presidente Trump ha dato il suo pieno sostegno all’industria del carbone, il che punta all’allentamento delle leggi e a una ripresa della produzione.
In Asia, l’ascesa è spettacolare. L’India è il secondo più grande produttore al mondo: il 60% della sua elettricità proviene dal carbone e il Paese sta sviluppando progetti giganteschi per diventare il più grande produttore mondiale, pur rimanendo un grandissimo importatore. La Cina assorbe quasi la metà del carbone prodotto nel mondo, e ha attuato un piano quinquennale (2016–2020) per ridurre il carbone nel bilancio energetico: la sua quota deve scendere al 55% a favore del gas, del nucleare e delle energie rinnovabili, mentre le capacità produttive devono ridursi del 15%. Un programma senza dubbio un po’ affrettato, come dimostrano le tensioni nel 2017–2018 su questo mercato: grande deficit energetico, triplicazione dei prezzi, aumento delle importazioni. Anche i paesi Asean, da parte loro, consumano più carbone.
In Africa e in America Latina, anche qui alcuni giganteschi progetti testimoniano l’interesse per il carbone, come in Sud Africa con la costruzione delle gigantesche centrali di Medupi e Kusile.
Ora, alla luce di queste riflessioni specifiche sul carbone, dobbiamo formulate alcune riflessioni precise sul ruolo geopolitico del mercato dell’energia.
In primo luogo le grandi potenze che agiscono sul mercato dell’energia sono anche i grandi produttori di energia e cioè Stati Uniti, Russia, paesi petroliferi e Canada.
Ma naturalmente le riserve oscillano: gli Stati Uniti sono stati in grado di rinascere grazie ai loro idrocarburi non convenzionali, alla volontà politica e all’innovazione tecnologica; d’altra parte, i paesi del Golfo sono preoccupati per il periodo post-petrolio e si rivolgono in particolare al nucleare per ritardare l’esaurimento delle loro riserve.
In secondo luogo non dobbiamo mai dimenticare che l’energia è un prodotto così vitale che chiunque ne sia privo ne è dipendente. Pensiamo alla Cina, il più grande importatore mondiale di energia. Non gioca su questa situazione per cercare di dominare il mercato, cerca forniture sicure in Africa, costruisce centrali nucleari, e investe sulle energie rinnovabili. Vuole energia abbondante e sicura, vuole allentare i vincoli imposti dal mercato dell’energia. La Cina ha due grandi bacini di carbone, uno a sud che contiene molto zolfo e l’altro a nord che non lo contiene. Il carbone viene quindi trasportato da nord a sud, per evitare di utilizzare carbone ad alto contenuto di zolfo, a rischio di sovraccaricare la rete ferroviaria.
In terzo luogo le scelte sul settore energico fatte dalla Germania sono controproducenti. Infatti decidendo di chiudere le sue centrali nucleari, si è trovata costretta a sviluppare elettricità termica da carbone o lignite. Le sue emissioni di CO2 sono aumentate. Altro che transizione ecologica! Deve ricorrere al gas russo, perché il gas è molto meno inquinante del carbone (si veda il sostegno al North Stream).
In quarto luogo gli Usa allo stato attuale intendono esportare il loro gas con lo scopo di pesare sul mercato energetico, per contrastare Russia o Iran (vedi opposizione al North Stream).
In quinto luogo, riprendendo il discorso precedente sul carbone, questo rimane importante nonostante le sfide ambientali che pone. Rappresenta quasi i due terzi dell’elettricità mondiale, ed è assurdo credere che scenderemo allo 0% nell’arco di dieci anni. In conclusione queste credenze, almeno allo stato attuale, sono solo utopie ambientaliste.