Il summit si terrà a Kazan (Tatarstan, Russia) dal 22 al 24 ottobre e i russi lo hanno già definito il più importante evento di geopolitica sul loro territorio. L’incontro dei Paesi BRICS, che si sono coalizzati intorno al nucleo originario composto da Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica, rappresenta un momento importante per definire il cammino verso la creazione di quel nuovo ordine mondiale che Mosca e Pechino auspicano da tempo. Un progetto non facile da realizzare, spiega Giuliano Noci, prorettore del Polo territoriale cinese del Politecnico di Milano, perché non tutti i paesi BRICS hanno gli stessi obiettivi.
La realtà è che ora vale il principio per cui ogni nazione cerca di fare i propri interessi, in un mondo in cui, anche se non codificato in una vera e propria alleanza, si sta configurando un asse Russia-Cina-Iran-Corea del Nord che prevede anche una collaborazione dal punto di vista militare. A spostare gli equilibri mondiali, però, ci penserà l’Africa: lì l’Occidente deve giocare le sue carte, cercando di adattarsi a una realtà nella quale non è più dominante e non può più continuare a considerarsi comunque il miglior mondo possibile.
Tra pochi giorni inizia il vertice dei BRICS in Russia: l’alleanza riuscirà ad assumere i contorni di un’alternativa all’Occidente?
L’intenzione della Russia di Putin e della Cina di Xi Jinping è di fare in modo che nasca un nuovo ordine mondiale. Si sta giocando su più tavoli: non ci sono solo i BRICS, ma anche, ad esempio, la Shanghai Cooperation Organisation (SCO), che unisce Cina, Russia e i Paesi dell’Asia centrale. L’intento è di creare un’architettura alternativa a quella occidentale. Un disegno che, però, ha qualche complessità per la Cina e la Russia: all’interno dei BRICS ci sono Brasile e India, che non hanno gli stessi interessi, vogliono giocare su più tavoli e non sono disponibili a prendere posizioni nette. L’India, inoltre, con la Cina non ha rapporti sereni.
Un’alleanza che deve essere definita meglio?
In questo momento l’asse più solido, anche se non è strutturato in un’organizzazione che ha una sua evidenza esterna, è quello Corea del Nord-Cina-Russia-Iran, tutte potenze nucleari o quasi, che si stanno progressivamente costruendo un’alleanza militare. Un asse molto significativo, il più avanzato. I BRICS a gennaio hanno inserito cinque Paesi, tuttavia è complesso costruire un consenso monolitico rispetto alle posizioni russe e cinesi.
Ci sono Paesi come l’Arabia Saudita, appena entrata, e la Turchia, che ha chiesto di farne parte, che mantengono rapporti anche con l’Occidente da diversi punti di vista. È possibile conciliare posizioni così distanti?
Nel quadro di fondo che sta emergendo, la capacità di influenza degli USA, anche in Medio Oriente, si è ridotta in maniera significativa. Siamo al “tana liberi tutti” e chi ha voglia di guadagnare spazio cerca di conquistarsi un posto al sole.
Nei BRICS, insomma, c’è un doppio binario?
A livello mondiale ci sono posizioni variegate: c’è la NATO, le autocrazie come Russia, Cina, Iran, Nord Corea e i loro alleati, poi i doppiogiochisti che ambiscono a diventare kingmaker, come India e Turchia. Erdogan e Modi vogliono sedersi ai tavoli che contano in primissima fila. Gli americani si illudono che gli indiani diventino filoamericani; lo sono quando conviene, così come diventano filocinesi se questo serve a curare i loro interessi. In realtà vogliono essere indipendenti. Infine, abbiamo la posizione dei non allineati, che sono il vero terreno di conquista.
Dove si gioca la partita?
In Asia si fa sempre più difficile per gli USA, perché la capacità di cooptazione della Cina è un fatto rilevante, non sarà facile scalfirla per gli americani e portare a casa Paesi asiatici. Credo che il vero ago della bilancia degli assetti futuri sarà l’Africa, in quanto continente a potenziale boom economico e vero polmone demografico del pianeta, visto che raddoppierà la popolazione entro la fine del secolo e anche prima.
Un continente nel quale Cina e Russia hanno messo mani e piedi da tempo: l’Occidente ha ancora degli spazi?
Vengo da un side event del G7 sulla trasformazione digitale con il presidente dell’associazione Smart Africa. Ha chiarito che gli spazi ci sono: “Abbiamo centinaia di migliaia di dollari da investire in infrastrutture: vogliamo italiani, occidentali”. Una partita che non è ingiocabile, ma bisogna essere veloci.
Intanto, nell’incontro a Kazan dovrebbe essere presentato un sistema valutario alternativo a quello fondato sul dollaro. Un segnale importante anche questo?
Si tratta di un circuito interbancario alternativo: i russi sono tagliati fuori dal circuito Swift e non riescono a fare bonifici a livello internazionale.
Al di là del fatto che i BRICS riescano o meno a strutturarsi in modo alternativo, la loro presenza deve indurre l’Occidente a cambiare atteggiamento con il resto del mondo?
Credo che buona parte dei disastri attuali sia figlia del fatto che l’Occidente pensa ancora di essere il migliore dei mondi possibili. Dobbiamo accettare il fatto che ci sono culture diverse dalla nostra, che non la pensano come noi. Io sono d’accordo nel dire che il nostro è il migliore dei mondi possibili, ma non possiamo imporlo agli altri, che la pensano diversamente e che vengono da autocrazie millenarie, secondo cui l’ordine e la gerarchia sono l’unico modo per tenere insieme le società.
Europa e USA devono cambiare passo?
Credo che la possibilità di evitare una guerra mondiale passi attraverso la comprensione, da parte dell’Occidente, che occorre accettare la diversità. Finora non lo ha fatto, ha pensato di esportare i suoi valori, ma quando è successo, come con la perestrojka, la situazione è tornata in un nanosecondo allo stato precedente, con diseguaglianze pazzesche dal punto di vista economico.
Il “tana liberi tutti” vale anche per i rapporti commerciali?
Le leggi dell’economia sono molto più razionali di quelle della politica e tutti gli interlocutori sono interessati a fare business. A meno di situazioni di rischio eccessivo, non mi aspetto vere interruzioni della catena del valore a livello globale. Rinunciare alla Cina è un suicidio per l’Europa e per gli USA.
Lo stesso vale anche per la Russia? L’Occidente, e l’Europa in particolare, si renderanno conto che non si può alzare un muro con Mosca, che bisogna riallacciare i rapporti?
Io il muro non l’ho mai visto alzare. A parole si dice che è alzato, poi le merci transitano per la Turchia, la Bosnia, la Serbia, gli Emirati Arabi Uniti e vanno verso Mosca. Nei fatti, le merci vanno in Russia come prima.
A riprova del fatto che le sanzioni non servono a niente?
È un meccanismo che non ha senso economico e neanche geopolitico, ma è il più facile da vendere per conquistare consenso nel breve periodo: sarà sempre molto utilizzato dalla politica. Con i russi si fa più fatica, ma le vie per arrivare a loro ci sono ancora e tantissime imprese le hanno imboccate in tempi quasi immediati.
(Paolo Rossetti)
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