Wulff su Iran e Medio Oriente

SCENARI/ Usa, Iran e Israele: serve un nuovo equilibrio ma non si trova

SCENARI/ Biden troppo “iraniano”, spiazza anche l’Israele di Bennet

Il diverso atteggiamento di Joe Biden verso l’Iran, rispetto alla completa chiusura di Donald Trump, aveva fatto sperare in un allentamento, sia pure graduale e non facile, delle tensioni nell’area mediorientale. Una modifica di strategia che poneva problemi a diversi alleati degli Stati Uniti dichiarati nemici dell’Iran, a partire dall’Arabia Saudita, con la sua guerra nello Yemen, e da Israele. D’altra parte, nei confronti di questi due Paesi era prevedibile un atteggiamento più “freddo” da parte di Biden, come già dimostrato durante la presidenza di Barack Obama. Tuttavia, questa prospettiva sembra allontanarsi e le contrapposizioni accentuarsi tra i vari protagonisti.



Alla fine di luglio, un drone ha attaccato una petroliera al largo delle coste dell’Oman, causando la morte di due membri dell’equipaggio, un cittadino britannico e uno romeno. Il Regno Unito, gli Stati Uniti e Israele hanno immediatamente accusato l’Iran dell’attacco, ma Teheran si è dichiarata non coinvolta nell’incidente e ha a sua volta convocato gli ambasciatori britannico e romeno, protestando per accuse ritenute diffamatorie. Non è il primo scontro in quelle acque e può essere considerato un ulteriore elemento di quella guerra sotterranea in atto tra Iran e Israele, con attacchi e contrattacchi da entrambe le parti. La petroliera, di proprietà giapponese, batte bandiera liberiana ed è gestita da una società con sede a Londra, ma collegata a un miliardario israeliano.



L’incidente sembra mettere in difficoltà soprattutto Biden e il suo tentativo di ridare vita all’accordo con l’Iran sul nucleare, un accordo decisamente inviso a Israele. L’attacco alla petroliera è stato, ovviamente, condannato da Washington, che ha però dichiarato che eventuali responsabilità di Teheran non fermeranno i contatti sull’accordo nucleare. Jen Psaki, portavoce della Casa Bianca, ha affermato che l’Iran sarebbe molto più pericoloso senza una riedizione dell’accordo.

Posizione questa nettamente rifiutata da Israele, il cui primo ministro, Naftali Bennet, ha criticato anche l’Unione Europea per aver mandato un suo rappresentante alla cerimonia di insediamento del nuovo presidente iraniano, Ebrahim Raisi. In effetti, Raisi, un esponente dell’ala dura del regime iraniano, è soprannominato “ il macellaio di Teheran” per la sua partecipazione alla repressione degli oppositori al regime degli ayatollah. Tuttavia, è poco credibile che in Occidente vi sia qualcuno preparato a uno scontro frontale con l’Iran, anche perché molti ricorderanno un simile precedente tentativo. Mi riferisco alla guerra tra Iraq e Iran, dal 1980 al 1988,  terminata con il consolidamento del regime islamico iraniano e il successivo crollo del regime di Saddam Hussein, ad opera degli Stati Uniti, che pure lo avevano sostenuto contro l’Iran.



Apparentemente, i governi occidentali preferiscono una strategia che comporti, accanto alle sanzioni, anche trattative diplomatiche che evitino confronti diretti. Tanto più che risulta sempre più evidente come le sanzioni colpiscano i popoli piuttosto che i governi, spesso con il contraddittorio esito di ricompattare lo spirito nazionale, come avvenne nella citata guerra.

Anche Israele forse dovrebbe essere meno confidente nella sua forza e più attenta alla sua dipendenza dagli aiuti esterni, principalmente di Stati Uniti ed Europa. Certo, da solo potrebbe sempre approfittare dal fatto di essere l’unica potenza nucleare dell’area, ma quali sarebbero i costi dell’esercizio di questa sua superiorità?

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