Con l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona (dicembre 2009) è stato creato il Servizio europeo per l’azione esterna (Seae) che è responsabile per gli affari esteri dell’Ue e che avrebbe dovuto assorbire tutte le funzioni fino ad allora svolte dalla Commissione europea. La creazione del Seae è stata piuttosto complessa e ha richiesto vari negoziati tra il Consiglio, il Parlamento e la Commissione, tutti desiderosi di difendere o estendere le proprie prerogative.



La Commissione temeva di perdere importanza, dato che la sua importante Direzione generale per le relazioni esterne sarebbe stata completamente inglobata dal nuovo Servizio e anche settori delle sUe direzioni generali Commercio, Sviluppo e Allargamento avrebbero potuto essere trasferiti all’interno del Servizio. Inoltre, le rappresentanze della Commissione all’estero sarebbero diventate ambasciate dell’Unione Europea e sottratte al controllo della Commissione. Il Parlamento aveva un certo controllo sulle relazioni esterne della Commissione e voleva mantenere una certa inflUenza in qUell’ambito, dunqUe, voleva ottenere i massimi poteri di controllo possibili sul Servizio, inclusa la possibilità di valutare le nomine e il suo bilancio. Il Consiglio cercava invece di contrastare tali richieste e tendenze, in modo da difendere al massimo il ruolo e il peso dei governi degli Stati membri.



La Commissione è riuscita a mantenere intatte le competenze sul commercio, l’energia, l’allargamento, lo sviluppo e la cooperazione internazionale, anche se ovviamente collabora con il Servizio in qUesti campi, grazie pure alla presenza dell’Alto rappresentante che è vice-presidente della stessa Commissione. Anche l’assegnazione degli incarichi al personale del Servizio è stata piuttosto complessa e ha provocato delle tensioni tra alcuni Stati membri.

La Commissione ha una testa di ponte nel Servizio europeo per l’azione esterna (Seae). Il dipartimento della Commissione per gli strumenti di politica estera (Fpi) è responsabile delle componenti finanziarie e operative della politica estera dell’Ue, aiuta i Paesi a far fronte alle crisi e a mantenere la pace, la sicurezza, la legge e l’ordine, con le segUenti responsabilità: esecuzione del bilancio della politica estera e di sicurezza comune (Pesc); attuare misure di risposta e prevenzione alle crisi finanziate nell’ambito dello strumento inteso a contribuire alla stabilità e alla pace (Icsp); attuazione dello strumento di partenariato (Pi), inteso a promuovere gli interessi strategici dell’Unione a livello mondiale; attuazione della cooperazione con i Paesi industrializzati (Ici); attuazione di missioni di osservazione elettorale nell’ambito dello strumento europeo per la democrazia e i diritti umani; preparazione e attuazione di proposte sanzionatorie; attuare a livello dell’Ue il sistema di certificazione del processo di Kimberley; prevenire il commercio di merci che potrebbero essere utilizzate per la pena capitale o la tortura; affrontare le minacce alla sicurezza internazionale attraverso il Fondo europeo per la pace (Epf, è stato recentemente utilizzato per il sostegno e l’invio di armi all’Ucraina).



La Commissione gioca, quindi, un ruolo chiave sulle nomine del personale al quartier generale e nelle delegazioni del Seae. Mentre gli ambasciatori Ue, che non hanno responsabilità dirette operative e gestionali, sono nominati in prevalenza dopo compromessi politici tra Consiglio e Parlamento, il resto del personale delle delegazioni è “selezionato” (cooptato) dalla Commissione, che esercita un enorme potere attraverso la figura, di sua nomina esclusiva, del “capo della cooperazione”, che risponde funzionalmente a Fpi e alla direzione generale per lo sviluppo (Devco) ed ha la responsabilità amministrativa e finanziaria delle delegazioni e degli interventi di cooperazione.

Le missioni di assistenza tecnica e di osservazione elettorale sono considerate attività “ammiraglie” dell’Ue nel mondo. Per loro natura, tali missioni sono un potente strumento politico e di soft power dell’Ue per promuovere i “valori europei” (pace, sicurezza, sviluppo, inclusione, diritti) che sono il “cuore” delle aspirazioni di “potenza” liberale mondiale dell’Ue. Dal 2000 l’Ue osserva sistematicamente le elezioni, avendo condotto circa 150 missioni di osservazione elettorale (Eom) nel mondo (circa 30 missioni per anno con un costo annuale di circa 45 milioni di euro).

Dal consolidamento della metodologia nella comunicazione sull’assistenza e l’osservazione elettorale dell’Ue del 2000, l’osservazione dell’Ue si è ampliata e adattata alle esigenze emergenti, consentendo all’Ue di lavorare in modo più flessibile e reattivo. Nei casi in cui le condizioni per una missione di osservazione elettorale (Eom) dell’Ue a pieno titolo non possono essere soddisfatte, l’Ue può decidere di inviare un Eat (una missione di esperti elettorali che è più piccola e non ha un profilo pubblico). Sebbene gli Eat non siano così completi come gli Eom, possono comunque avere un osservatore capo che, come per le Eom, è in genere un membro del Parlamento europeo (Mep) e redige relazioni rese pubbliche. Un’iniziativa recente e innovativa dell’Ue sono le missioni Efm (missioni di esperti per valutare a metà ciclo se le raccomandazioni delle missioni di osservazione elettorale dell’Ue sono state attuate e suggeriscono com’è possibile ottenere ulteriori progressi) che sono in genere guidate dall’ex capo osservatore della Eom nel Paese in considerazione.

Dal 2012, nell’ambito del quadro strategico e del piano d’azione dell’Ue sui diritti umani e la democrazia, si è consolidato l’impegno a sistematizzare il follow-up per promuovere un’attuazione efficace delle raccomandazioni delle missioni di osservazione elettorale. Gli Efm sono uno dei tanti strumenti che l’Ue ha sviluppato in grado di fornire un seguito più sistematico alle raccomandazioni formulate dalle missioni di osservazione elettorale e dagli Eat. Le missioni elettorali dell’Ue sono gestite dal Seae ma in modo operativo da una delle unità della Commissione (Fpi) in cooperazione con il Parlamento e il Consiglio.

Nel 2017 la Commissione ha richiesto una valutazione indipendente sulle missioni di osservazione elettorale da cui emerge una forte discrepanza sulla considerazione dell’impatto e dell’effettività a seconda che si parli con interessati europei collegati direttamente o indirettamente alla Commissione (82% positiva) o che si parli con quelli esterni, spesso beneficiari in paesi terzi (35% positiva). Rispetto all’impatto ed effettività in comparazione a quelle di altre organizzazioni e paesi, il 48% degli europei valutano le Ue Eom migliori, mentre gli esterni le valutano migliori al 35%. Le ripercussioni negative delle Ue Eom sono note al 24% degli europei e al 18% degli esterni.

Questi risultati non esaltanti derivano dallo sforzo ormai ventennale dell’Ue di voler “professionalizzare” l’osservazione elettorale. Infatti, dal 2002 l’Ue finanzia la formazione degli osservatori che vengono accreditati in liste di riserva dalle quali Fpi attinge per la composizione delle missioni elettorali, assicurandosi così l’eterogenesi dei fini. I programmi Needs e Eods hanno raggruppato esperti e organizzazioni per l’osservazione elettorale, creando di fatto un “circuito chiuso” di operatori che, in modo ricorrente e quasi esclusivo, sono invitati a partecipare alle missioni elettorali. Un circuito di esperti “formati” nelle procedure elettorali, cioè nella formalità dei processi democratici, che poco riesce a beneficiare delle competenze multidisciplinari, assai più vaste e utili, di esperti di cooperazione, monitoraggio e assistenza tecnica. Dal febbraio 2021 il centro di formazione dell’Ue nel settore elettorale – Election Observation and Democracy Support (Eods) – è gestito, per un secondo periodo quadriennale, dal conglomerato pubblico tedesco per la cooperazione internazionale allo sviluppo Giz che ha nominato come team leader la nota esperta anglo-americana di origini tedesche Holly Marie Ruthrauff. Nonostante le note autoreferenziali, le aspirazioni dell’Ue di “potenza” democratica e liberale globale sono ben lontane dalle capacità americane che, come si è scritto su queste pagine, includono possenti (e ricche) organizzazioni politiche, pubbliche e private come Freedom House, National Endowment for Democracy (Ned), International Republican Institute (Iri) e fondazioni private come la Open Society Foundation di George Soros.

Nel periodo 2014-2019 l’Alto rappresentante Mogherini sviluppò la dottrina nota come Eu Global Strategy (approvata nel 2016 sostituiva quella del 2003) con l’intenzione di migliorare l’efficacia della difesa e della sicurezza dell’Unione e dei suoi Stati membri, la protezione dei civili, la cooperazione tra le forze armate degli Stati membri, e mettendo le basi per un consolidamento dei fondi europei disponibili per l’azione esterna. Dopo più di tre anni di discussioni, a giugno 2021 è stato adottato lo Strumento di vicinato, sviluppo e cooperazione internazionale (Ndici – Global Europe); un quadro di bilancio con un massimale di 79,5 miliardi di euro che mira a promuovere legami più stretti tra gli obiettivi di sviluppo internazionale e gli altri obiettivi di politica estera dell’Ue.

Questo risultato rappresenta la riforma istituzionale più fondamentale della politica di sviluppo dell’Ue degli ultimi decenni. Mentre questa riforma ha sostanzialmente accresciuto i poteri del Parlamento europeo in materia di verifica e indirizzo della politica estera europea, il principale obiettivo del mega-fondo Ndici di “sostenere e promuovere i valori e gli interessi dell’Unione nel mondo al fine di perseguire gli obiettivi e i principi dell’azione esterna dell’Unione” ha portato alla fusione in unico fondo (e struttura di gestione) di dieci precedenti strumenti finanziari esterni  e programmi che l’Ue ha utilizzato tra il 2014 e il 2020 – tra cui lo strumento di cooperazione allo sviluppo (Dci), lo strumento europeo di vicinato (Eni), lo strumento europeo per la democrazia e i diritti umani (Eidhr), lo strumento che contribuisce alla stabilità e alla pace (Icsp), lo strumento di partenariato (Pi), il Fondo europeo per lo sviluppo sostenibile (Efsd), il fondo di garanzia per le azioni esterne e il Fondo europeo di sviluppo (Fes) fuori bilancio. Ndici ha spinto per il progresso delle priorità geopolitiche dell’Ue (Green Deal, trasformazione digitale, crescita e occupazione, migrazione e governance) attraverso lo sviluppo e la cooperazione internazionale.

Attraverso la programmazione della sua cooperazione esterna, queste cinque priorità geopolitiche devono essere riconciliate con gli obiettivi di sviluppo sostenibile (Sdg), nonché con le priorità e le esigenze dei paesi (il 93% dei finanziamenti deve soddisfare i criteri del Sdg). Chiave dell’attuazione di Ndici è la “geograficizzazione” dei programmi, cioè lo sviluppo di accordi bilaterali di cooperazione con partner locali, e la “partenerizzazione” degli interventi, cioè accordi di lungo termine mutualmente benefici. Ad oggi, il complesso esercizio di analisi e di ri-programmazione, che richiede capacità e risorse al momento carenti nella maggior parte delle delegazioni, è solo all’inizio, comportando un “temporaneo” fermo dei progetti finanziati dai vecchi fondi europei in attesa che Ndici diventi effettivamente operativo.

Inoltre, la fusione tra lo strumento europeo per la democrazia e i diritti umani (Eidhr) e lo strumento che contribuisce alla stabilità e alla pace (Icsp) è di difficile fattibilità, perché le rispettive logiche e obiettivi sono spesso inconciliabili nella realtà di ciascun paese o regione. Così, per ora, l’Ue si proclama il principale finanziatore in materia di sviluppo trasferendo fondi e finanziamenti principalmente ad organizzazioni regionali e/o internazionali, ma non avendo il diretto controllo sull’attuazione dei progetti.

Uno studio del Carnegie Europe evidenzia che nel 2021 l’Ue ha intensificato il ricorso alle sanzioni in materia di democrazia e diritti umani, pur astenendosi dall’esercitare forti pressioni critiche in relazione a molti casi notevoli di regressione democratica e gravi crisi dei diritti umani. La presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, ha difeso l’autonomia strategica come parte integrante della sua Commissione europea “geopolitica”, mentre l’alto rappresentante per gli affari esteri e la politica di sicurezza Josep Borrell ha rilasciato innumerevoli interviste e discorsi e ha scritto numerosi articoli su di essa. La relazione tra la ricerca di autonomia strategica e il sostegno alla democrazia non è semplice o chiaro. I leader e le dichiarazioni a volte parlano in termini generali di autonomia strategica aiutando a difendere i “valori europei”, ma il concetto mira principalmente a costruire capacità militari congiunte e proteggere la produzione interna. L’importanza data all’autonomia strategica finora è stata quantomeno a disagio con gli impegni nominali a sostegno della democrazia e ha compensato altri aspetti della politica dell’Ue elaborati attorno a una maggiore attenzione alla democrazia globale.

Alla fine del 2021, l’Ue ha lanciato l’iniziativa Team Europe Democracy, un impegno a costruire una risposta forte per difendere la democrazia in tutto il mondo. Mira a riunire azioni frammentate di sostegno alla democrazia dell’Ue e degli Stati membri in un insieme coerente, garantendo che le azioni siano più mirate, più strategiche e più visibili. Il Team Europe Democracy comprende finanziamenti per la ricerca per contribuire ad aumentare la conoscenza e l’efficacia insieme all’assistenza alle delegazioni dell’Ue per migliorare il loro sostegno alla democrazia insieme agli Stati membri.

Lo sviluppo dell’iniziativa Team Europe Democracy sarà fondamentale per gli sforzi dell’Ue nei prossimi anni. Tuttavia, il fondo europeo per la pace (Epf), finanziato con 5 miliardi di euro in contributi dei Paesi membri, ha preso anche una grande fetta di fondi dell’Ue per il sostegno alla sicurezza molto diretto, gran parte dei quali si trova a disagio con gli impegni di sostegno alla democrazia: le forze di sicurezza che ricevono consulenza e formazione dell’Ue sono spesso utilizzate dai regimi per limitare le proteste pro-democrazia. Finora, l’Epf ha fornito finanziamenti a Bosnia-Erzegovina, Georgia, Mali, Moldavia, Mozambico e Ucraina, nonché all’Unione africana per sostenere le operazioni in Somalia.

Nel dicembre 2020 l’Ue ha approvato il nuovo regime globale di sanzioni in materia di diritti umani che dal 2021, e ancor più dopo l’operazione militare russa in Ucraina nel 2022, ha consentito all’Ue di imporre sanzioni deviando da una precedente pratica che era molto più restia ad usare questo strumento di politica internazionale. Mentre l’Ue ha imposto un numero crescente di sanzioni, ci sono stati notevoli casi di crisi democratica e repressione in cui non ha intrapreso alcuna azione o un’azione estremamente limitata.

Oltre alle sanzioni, l’Ue si è mossa in diversi casi per sospendere o ridurre gli aiuti per motivi legati alla democrazia e ai diritti umani. Se per alcuni anni molta attenzione è stata rivolta ai dibattiti interni sul nuovo regime di sanzioni, dal 2021 i responsabili politici europei si sono concentrati sempre più sulla condizionalità degli aiuti. Mentre l’uso di dispiegamenti militari è sempre stato molto sensibile all’interno della comunità di sostegno alla democrazia, i governi europei hanno talvolta visto l’hard power come vantaggioso per la democrazia. Sebbene diversi conflitti violenti siano peggiorati nel 2021-2022, gli Stati dell’Ue hanno evitato importanti impegni militari. L’Ue non ha impiegato nessuno dei suoi gruppi tattici, sebbene Borrell fosse particolarmente desideroso di dare alla politica estera dell’Ue questo orientamento più orientato all’azione. Infine, l’Ue ha preparato una Bussola Strategica (Strategic Compass) nel corso del 2021 con l’obiettivo di coordinare e affinare le strategie di sicurezza e di difesa. Questo dovrebbe diventare operativo con il Consiglio europeo di fine giugno 2022 e dovrebbe includere il sostegno alla democrazia come uno dei suoi obiettivi formali. La bozza della Bussola Strategica propone la creazione di 5mila Rapid Hybrid Response Team.

In conclusione, un ritornello familiare, persino onnipresente, negli ultimi anni è stato che i modelli passati di sostegno alla democrazia devono essere abbandonati e non hanno più alcuna prospettiva di successo, che l’Ue non è riuscita a muoversi con la geopolitica dei tempi, e in particolare che ha bisogno di andare oltre uno sforzo riflessivo per esportare i propri modelli e nozioni di democrazia in un mondo che semplicemente non li vuole. Gli sviluppi politici nel 2021-2022 mostrano che il sostegno dell’Ue alla democrazia è già entrato in una nuova fase. Gli aiuti europei alla democrazia sono diventati più focalizzati sulla protezione dei diritti fondamentali sotto attacco e l’Ue si è mossa per modellare la sua politica di aiuti attorno alle richieste locali di sostegno. L’Ue aderisce a un’ambizione ridotta e più realistica di mantenere vivo un certo spazio e capacità per l’agenzia democratica, invece di replicare modelli istituzionali all’ingrosso o sequenziare modelli onnicomprensivi di democratizzazione incentrati in modo schiacciante sulle elezioni.

L’Ue non si è spinta abbastanza lontano in questa direzione, ma sono evidenti cambiamenti significativi nel modo in cui sostiene la democrazia. I fondi dell’Ue hanno per lo più cercato di mantenere vivo un debole polso democratico-civico in diversi Paesi, nonostante i tempi infausti. In futuro, l’Ue dovrà basarsi sugli sforzi per abbinare meglio il suo sostegno alla società civile e alle richieste dei cittadini con il sostegno istituzionale alla governance democratica che fornisce ai governi.

Una preoccupazione ricorrente per un efficace sostegno alla democrazia europea in tutto il mondo rimane la mancanza di coerenza delle politiche europee. Gli sforzi per sostenere la democrazia spesso si scontrano con altre priorità chiave come il commercio, la sicurezza energetica, le migrazioni e la stabilità, con la democrazia e i diritti umani che di solito finiscono per giocare in secondo piano. Ciò può essere visto, tra le altre cose, con l’esportazione di tecnologia militare verso le dittature, la notevole quantità di aiuti ai regimi autoritari, gli accordi commerciali con regimi con scarsi risultati in materia di diritti umani e l’applicazione disomogenea delle sanzioni. Finora gli attori europei hanno compiuto solo progressi limitati nel ridurre queste incoerenze fondamentali. Questo è qualcosa che non possono permettersi in un’epoca di accresciuta competizione internazionale e geopolitica.

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