Fino a non molto tempo fa il mondo occidentale ha vissuto nella convinzione che il liberalismo fosse un fine in sé, ma nel nuovo contesto della globalizzazione prende nuovo significato riaffidarsi all’economia politica, dal momento che non si possono più negare i rapporti di forza in ambito economico e pare tramontata l’idea che il commercio mondiale si strutturi sulla base della domanda e dell’offerta.
Il mondo sta cambiando, la realtà è diversa, mutano gli eventi e i modi di intendere la politica. E anche gli strumenti: se una volta valeva l’affermazione di Clausewitz che la guerra è politica fatta con altri mezzi, oggi si può affermare che la politica (e l’economia) è la guerra fatta con l’uso delle informazioni.
La minaccia non è più solo quella a cui eravamo abituati e che poteva localizzarsi dal punto di vista geografico nell’attacco di una grande potenza contro un’altra potenza. Oggi la minaccia è asimmetrica, diversa, cambia in continuazione, viaggia in rete, è immediata e, soprattutto, è rivolta contro l’intero sistema. Non mira a colpire bersagli militari o politici, ma interessi commerciali, industriali, scientifici, tecnologici e finanziari. Questo porta l’intelligence a strutturarsi su compiti nuovi: proteggere non solo l’intero sistema, ma anche gli anelli deboli della filiera produttiva.
Tutto ciò esige un cambio di mentalità, di modi di operare e un aggiornamento continuo, specie a livello di cultura aziendale. Esige, soprattutto, una stretta interazione dell’intelligence con il settore privato, con tutte le difficoltà che ne possono derivare.
Le crisi che stiamo attraversando, assieme alla fisionomia industriale e commerciale della nostra epoca, inducono a considerare con molta attenzione l’idea di “guerra economica”. È principalmente dopo la fine della Guerra fredda che i rapporti di forza tra potenze si articolano attorno a problematiche economiche: la maggior parte dei governi oggi non cerca più di conquistare terre o di stabilire il proprio dominio su nuove popolazioni, ma tenta di costruire un potenziale tecnologico, industriale e commerciale capace di portare moneta e occupazione sul proprio territorio.
La globalizzazione ha trasformato la concorrenza da “gentile” e “limitata”, in una vera “guerra economica”.
La sfida economica diminuisce gli spazi a disposizione della guerra militare, ma lo scopo ultimo, quello di accumulo della potenza e del benessere, rimane immutato. Le strategie nazionali di intelligence economica, adottate recentemente da numerosi governi, riservano proprio agli operatori privati un ruolo centrale nel mantenimento della sicurezza, grazie alla dotazione di infrastrutture informatiche e del bene primario dell’era digitale: i dati.
Dalla tutela delle attività economiche private alla protezione degli interessi economici nazionali, il passo è breve.
Per intelligence economica si intende proprio quell’insieme di attività di raccolta e trasformazione delle informazioni, di sorveglianza della concorrenza, di protezione delle informazioni strategiche, di capitalizzazione delle conoscenze al fine di controllare e influenzare l’ambiente economico globale. È, quindi, uno strumento di potere a disposizione di uno Stato.
Ma quali sono gli attori della guerra economica?
– Gli Stati, innanzitutto, che restano i regolatori più influenti dello scacchiere economico, nonostante il loro relativo declino nella vita delle nazioni e i diversi vincoli che pesano su di loro, a partire dalle organizzazioni internazionali, come l’Unione Europea. Ciò che è davvero cambiato è che oggi gli Stati devono tener conto di numerosi stakeholder (Ong, istanze internazionali, imprese, media). Tuttavia, essi conservano un ruolo d’arbitro che ciascuno degli altri attori non fa che mettere in luce, sollecitando regolarmente un loro intervento.
– Le imprese, che, di fronte al nuovo scenario geoeconomico ipercompetitivo, hanno adottato il controllo dell’informazione strategica come strumento di competitività e di sicurezza economica.
– La società civile: l’ampliamento dei dibattiti su questioni sociali riguardanti l’attività delle imprese stesse (alimentazione e benessere, progresso tecnico e rischi di salute pubblica, industria e ambiente, trasporto e sicurezza dei viaggiatori, tecnologia dell’informazione e libertà individuale), la massificazione e democratizzazione dell’uso di internet, il crescente coinvolgimento della giustizia nel monitoraggio dell’operato delle imprese, comportano un aumento degli attacchi informatici contro le imprese da parte di attori della società civile. L’allargamento dei dibattiti sui rischi associati all’ambiente, sullo sviluppo sostenibile, sull’investimento socialmente responsabile, sulla responsabilità sociale d’impresa, amplifica la legittimità delle questioni sociali.
– L’infosfera: questa non costituisce una categoria di persone fisiche o morali, ma piuttosto una dinamica, ossia l’insieme degli interventi, dei messaggi diffusi tramite i media e la rete. Si tratta di uno strumento particolarmente insidioso perché opera come una cassa di risonanza in cui si mescolano e ricombinano di continuo idee, emozioni e pulsioni emesse da un numero infinito di persone, senza un vero soggetto dominante e che tuttavia esercita un’influenza determinante, positiva o nefasta, sugli individui e sulle organizzazioni. Lanciata nell’infosfera, una dichiarazione può avere il potere di scatenare feroci polemiche, dure reazioni politiche, crisi mediatiche, danni reputazionali a spese di imprese. Può divenire, quindi, un’arma di destabilizzazione particolarmente efficace. Non dimentichiamo che l’immagine e la reputazione di un marchio rappresentano un capitale strategico che impatta sulle attività commerciali e finanziarie delle aziende.
Ma in quali forme si esplicita la guerra economica?
Spesso la si confonde con lo spionaggio economico, che è, invece, un fenomeno difficile da delineare, seppure utilizzato come strumento di guerra economica, sia perché le società che ne sono vittime non ne danno comunicazione, sia perché è difficile da circoscrivere giuridicamente e, quindi, da denunciare.
Una forma di guerra economica più praticata è quella delle acquisizioni di imprese, che possono portare a vere e proprie forme di accerchiamento di industrie su un dato territorio, tramite operazioni che rispondono a motivazioni di carattere finanziario, economico e tecnologico al tempo stesso.
Un’ultima forma di guerra economica, anche questa particolarmente diffusa e insidiosa, è il lobbying, ovvero una strategia di influenza che punta direttamente ai decisori pubblici tramite un’azione di influenza nella elaborazione delle norme. I nostri Stati nazionali sono particolarmente segnati dal problema della proliferazione di norme e, per un’azione di lobbying, è assolutamente strategico partecipare e influenzare il processo di elaborazione, di interpretazione o applicazione delle misure legislative e, in generale, influenzare direttamente o indirettamente ogni intervento o decisione dei poteri pubblici. L’influenza è il cuore del commercio internazionale; di conseguenza, l’avvicinamento ai centri decisionali è divenuto un passaggio obbligato della competizione commerciale.
In generale, tutte queste pratiche rispondono a una strategia di influenza: le comunicazioni di influenza sono anche le più difficili da identificare e da combattere, dal momento che sono perfettamente legali: questa è la “guerra dell’informazione”. Una guerra basata su principi semplici, ma nefasti nella loro combinazione, come:
– l’argomento morale, quindi la possibilità di indurre una crisi facendo leva su un’argomentazione etica;
– l’offesa al politicamente corretto, tramite la rottura degli schemi culturali e psicologici del momento;
– la scelta dei bersagli, nel senso che più il capitale di legittimità degli attori è debole e più l’attacco informativo provocherà una escalation mediatica;
– la notorietà degli attori;
– il criterio di opportunità o la risonanza dell’ambiente.
(1 – continua)
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