L’imprevedibilità è il carattere distintivo della leadership trumpiana, ma a Pechino hanno le idee chiare su come andranno le relazioni sino-americane. Il Governo cinese sa che la competizione globale fra le due potenze ha innescato un processo irreversibile e di certo non sarà la nuova Amministrazione a disinnescarlo. L’elezione di Trump, però, porta con sé una serie di novità che rappresentano un’opportunità che la Cina intende sfruttare.



In primo luogo, l’introversione prevista dalla dottrina dell’America First implica maggiore margine di manovra per Pechino e quindi più possibilità di sottrarre terreno ai propri rivali. Inoltre, la tendenza del nuovo Presidente americano a caratterizzare le relazioni diplomatiche in base a rapporti di forza porterà alla fine dell’ambiguità strategica americana circa i dossier più importanti come quello che riguarda Taiwan.



In definitiva, per il Governo cinese Trump scioglierà ogni dubbio circa le reali intenzioni americane rendendo indifferibile il momento delle decisioni. La presidenza Biden aveva messo in atto una politica che stava isolando la Cina, tessendo una rete di relazioni nel Pacifico e soprattutto nel Mar Cinese Meridionale che di fatto aveva creato grossi problemi e sottratto alleati potenziali all’Impero di Mezzo. La postura di Trump, invece, si caratterizza per un approccio diretto che ha come esito soltanto due opzioni: il conflitto o il deal, un accordo che soddisfa entrambi i contraenti.



Molti analisti tendono a concentrarsi sugli effetti della guerra commerciale e gli effetti dei dazi, annunciati al 60%, sulle relazioni sino-americane, sottostimando il fatto che il sistema economico cinese aveva già messo in conto la riconfigurazione del commercio globale, pagandone già da due anni le conseguenze con la crisi del mercato domestico.

Anche la competizione tecnologica è arrivata a un punto di non ritorno, indipendentemente dalla questione Taiwan: la reindustrializzazione dell’economia americana già iniziata con Biden sarà continuata da Trump, il decoupling è ormai in atto e ormai si può provare solo a renderne più indolori le conseguenze sociali.

In definitiva, Cina e Stati Uniti convergono sulla tendenza a impostare le relazioni internazionali su accordi bilaterali nei quali entrambi intendono far pesare il proprio peso geopolitico ed economico. Un atteggiamento che creerà problemi a Paesi e aggregati geopolitici dotati di minor potere contrattuale, portando realtà come l’Unione europea e l’Asean a dover fare i conti con la tentazione di alcuni Paesi di muoversi in solitaria alla ricerca di accordi vantaggiosi e le difficoltà di trovare una strategia comune. Un contesto in cui le guerre commerciali e l’incertezza finanziaria verrà pagata da chi non riesce a risolvere le proprie criticità interne.

Anche per questo motivo le preoccupazioni della Cina sono più rivolte verso l’Ue piuttosto che all’America di Trump, poiché Pechino non vuole e non può perdere il colossale avanzo commerciale verso Bruxelles: non sembra un caso che il suo calo registrato nel 2023, quando è sceso dai 400 a 201 miliardi di dollari, è conciso con una grande flessione dell’economia cinese. L’avanzo commerciale cinese nei confronti dell’Ue ha un valore strategico che Pechino ritiene fondamentale, per il semplice motivo che grazie a esso può superare stabilmente quello verso degli Usa e creare legami di dipendenza che strutturalmente non possono essere stabiliti con l’altra sponda del Pacifico.

Il Governo cinese era consapevole da tempo che con Trump sarebbe entrato in una fase di aperta competizione tecnologica ed economica, ma non può permettersi di inasprire le relazioni con l’Europa, che ormai è il mercato di sbocco preferito della manifattura cinese. Paradossalmente, la politica estera di Trump potrebbe favorire la strategia cinese nei confronti dell’Europa portando nel breve e medio periodo gli interessi di entrambe le superpotenze a convergere circa l’indebolimento dell’Europa. Tenendo però, sullo sfondo, l’inevitabile resa dei conti per Taiwan.

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