Wuhan riapre ma la provincia più a nord-ovest della Cina, l’Heilongjiang, considerata la porta verso la Russia, chiude. La battaglia contro il coronavirus assomiglia sempre più al tentativo di svuotare il mare con un secchiello: apri di qua, chiudi di là. Una situazione, afferma Francesco Sisci, sinologo, già corrispondente de La Stampa da Pechino e poi editorialista de Il Sole 24 Ore, “che ci dice che anche per noi in Italia e nel resto del mondo i tempi per un ritorno alla normalità saranno molto più lunghi del previsto. Non stiamo vivendo un’emergenza: per un anno, anche un anno e mezzo, vivremo nell’emergenza”. In questo quadro, le superpotenze sfruttano anche il virus per continuare le loro battaglie per la supremazia globale, Cina, Stati Uniti e Russia in primo piano, ma non solo.
Ieri è stato il giorno della “liberazione” di Wuhan. Contemporaneamente è stata chiusa un’altra provincia, lontana 3mila chilometri. Che cosa ci insegna questo?
Questo nuovo lockdown nel giorno in cui è finito quello di Wuhan ci dice che siamo davanti a una pandemia molto perniciosa, al di là di quello che si poteva immaginare. Sembra, ma non ne siamo sicuri, che persone entrate dalla Russia siano risultate contagiose e i confini sono stati immediatamente chiusi. Tutto questo fa pensare a orizzonti temporali molto lunghi anche per noi. Siamo molto lontani da un ritorno alla normalità.
Si tratterebbe per ora di una trentina di casi. Forse la Cina, dopo quello che è successo a Wuhan, vuole agire immediatamente, con forza e decisione. È così?
Certo. Ma lo ripeto: dovremo abituarci a convivere con questa malattia fino a quando non ci saranno una cura o un vaccino, il che significa un anno e mezzo almeno. Non c’è una emergenza, questo anno e mezzo è l’emergenza.
La riapertura di Wuhan ha spinto alla partenza immediata almeno 65mila persone. Perché?
Wuhan è guarita, ma non è tornata alla piena normalità. Se questo succede in Cina, il resto del mondo ha davanti tempi molto lunghi. Bisogna pensare a iniziative di contenimento per almeno un anno e mezzo. Quelle 65mila persone lasciano Wuhan perché erano rimaste bloccate quando è scattato il lockdown, è gente che sta tornando nelle proprie case.
La Russia è stato il primo paese al mondo a chiudere le frontiere con la Cina. Come sono oggi i rapporti fra i due paesi?
Sono buoni, sono migliorati sensibilmente, anche perché entrambi hanno un avversario, una controparte in comune: gli Stati Uniti. Russia e Cina stanno collaborando molto.
Anche perché Trump non perde occasione di attaccare la Cina: ha incolpato l’Oms di aver agito male perché guidato proprio dai cinesi…
Da una parte questo è vero, ma dall’altra l’America è stata funzionale per trovare un accordo sul prezzo del petrolio. Ricordiamoci che era in atto una guerra tra Arabia Saudita e Russia. Gli Stati Uniti per non far soffrire troppo le proprie aziende, che con un prezzo del barile sotto i 40 dollari rischiano la bancarotta, tenendo conto anche che il prezzo del petrolio è uno dei primi motori e indicatori della salute della Borsa, hanno fatto pressione sugli arabi per arrivare a un compromesso favorevole ai russi.
Nonostante il virus, dunque, continua la guerra economica fra le superpotenze?
Certo: se i prezzi bassi del petrolio per gli Usa significano sofferenza, per la Russia sono una questione di vita o di morte. Il 70% delle esportazioni russe sono legate a gas e petrolio, e un prezzo basso avrebbe portato una crisi devastante.
E la Cina?
Se questo accordo è stato trovato tra Russia e Usa, si possono aprire scenari nuovi tra Mosca e Washington in funzione anti-cinese.
Intanto, sulla gestione coronavirus, arrivano accuse anche dall’Iran contro la Cina, da sempre alleata fedele di Teheran. Cosa può dirci?
Sono accuse che riguardano la questione legata al numero effettivo dei morti per il virus. L’Iran è uno dei paesi più colpiti al mondo dal virus, che alla luce proprio dei legami tra le due nazioni è giunto certamente dalla Cina. Su questo si stanno aprendo scenari inediti.
Ad esempio?
Fosse continuata la guerra del petrolio e i sauditi avessero spinto il prezzo a 10 dollari al barile come alcuni di loro avrebbero voluto, queste quotazioni avrebbero messo in difficoltà anche l’Iran. L’accordo, paradossalmente, ha aiutato la Russia, ma anche l’Iran. Insomma, intorno a questa epidemia si stanno scatenando grandi sommovimenti politici ed economici.