Quali sono state le tematiche affrontate tra il ministro degli Esteri Luigi Di Maio e il suo omologo turco Mevlut Cavusoglu?

In primo luogo il ministro turco ha voluto sottolineare l’importanza della partnership strategica tra Italia e Turchia che è stata particolarmente importante durante l’emergenza del coronavirus. Lo stesso ministro Di Maio ha confermato l’importanza della Turchia per quanto riguarda la dimensione commerciale: infatti l’Italia è il secondo partner nel contesto europeo con un interscambio di circa 18 miliardi di euro soprattutto nel settore bancario, energetico e delle infrastrutture.



In secondo luogo, consapevole dell’importanza di questa partnership commerciale, il collega turco ha sostenuto la necessità di rafforzare i rapporti bilaterali tra Italia e Turchia proprio nel contesto della difesa, del turismo e dell’energia. A tale proposito – stando almeno a quanto dichiarato da Agenzia Nova – il nostro paese ha dimostrato di avere maggiore interesse a rafforzare i rapporti commerciali con la Turchia che a svolgere un ruolo attivo e rilevante nella scacchiera libica.



In terzo luogo, per quanto concerne la questione libica, entrambi i ministri hanno sottolineato la necessità di raggiungere una pace permanente e quindi di ripristinare il dialogo. Dichiarazione questa che da parte della Turchia ha a che fare con la fantapolitica.

In modo particolare Di Maio ha posto in evidenza come sia necessario porre fine al conflitto militare, ma soprattutto al continuo flusso di armi e alla presenza di mercenari. Infatti l’unica alternativa indicata dal ministro 5 Stelle è sostanzialmente quella di dare concreta applicazione alle conclusioni della conferenza di Berlino sotto il controllo delle Nazioni Unite, il cui ruolo – sia detto per inciso – fino a questo momento è stato irrilevante.



In quarto luogo, per quanto riguarda la questione di Cipro, e quindi delle risorse energetiche coinvolte nell’attuale conflitto politico-diplomatico tra la Turchia e Cipro, il ministro Di Maio ha sottolineato come debba tacere qualunque tipo di atteggiamento conflittuale per essere integralmente sostituito da un dialogo costruttivo, soprattutto considerando la centralità del Mediterraneo orientale sia per la Turchia che per l’Italia.

Fino a qui la cronaca, asetticamente raccontata, dell’incontro tra il ministro italiano e quello turco. Ma la realtà dello scacchiere libico non ha nulla a che vedere con i toni concilianti e pacati di questo incontro che, da un punto di vista strettamente politico e strategico, rappresenta un nulla di fatto.

Vediamo seppure in breve di spiegarne le ragioni.

La Libia è ormai oggetto di una spartizione in zone di influenza tra la Turchia – in Tripolitania – e la Russia in Cirenaica. Il nostro paese sta semplicemente a guardare dalla finestra.

In seconda battuta, al di là della retorica diplomatica di Di Maio, l’uso della guerra sporca, cioè dei mercenari siriani da parte della Turchia e della Compagnia Wagner da parte della Russia, sta costituendo un fattore di successo militare a differenza delle vuote considerazioni della conferenza di Berlino.

In terzo luogo, mentre la Turchia – come d’altra parte la Russia – è presente dal punto di vista militare in modo estremamente rilevante e significativo, al contrario la presenza militare italiana è assolutamente irrisoria perché almeno ufficialmente ha scopi o di natura sanitaria o di assistenza alla guardia costiera. Ebbene, il fatto che durante la conferenza con il ministro degli Esteri turco, Di Maio non abbia neppure lontanamente sottolineato la necessità di una presenza militare del nostro paese per tutelare il nostro interesse nazionale dimostra in modo assolutamente evidente l’assenza di qualunque approccio realistico alla realtà conflittuale in corso.

Infatti l’assenza del nostro paese all’interno dello scacchiere libico costituisce un errore politico-strategico enorme perché avrà implicazioni a medio termine sia sulla questione dell’immigrazione, sia sulla questione energetica, al di là della credibilità della nostra compagnia petrolifera Eni.

In quarto luogo, e questo forse è il dato più interessante da sottolineare, l’incontro che si è tenuto il 19 giugno doveva tenersi prima ma è stato rinviato poiché il ministro degli Esteri turco Mevlut Cavusoglu ha incontrato al Serraj insieme ai ministri del Tesoro e delle Finanze, Berat al Bairak, della Difesa Hulusi Akar, dell’Economia Nihat Zeybekci e ai vertici dell’intelligence per porre in essere le due infrastrutture militari turche a Misurata e al Watiya. La Turchia con spregiudicata coerenza strategica – grazie alle crescita delle infrastrutture militari e alla loro collocazione geopoliticamente rilevante – avrà non solo la possibilità di accedere agevolmente ai corridoi energetici chiave come il Golfo Persico, il Corno d’Africa, il Caucaso, il Mar Rosso e il Mar Mediterraneo, ma avrà soprattutto la possibilità di diventare un attore chiave a livello internazionale emarginando non solo l’Italia ma anche la Francia e la Grecia. Una delle ragioni di questo successo consiste, a nostro modo di vedere, nell’uso spregiudicato dello strumento militare di fronte al quale i paesi europei e l’Onu, almeno allo stato attuale, dimostrano la loro impotenza.

L’incontro citato costituisce un’evidente conseguenza politica di quello svoltosi il 17 giugno con il premier Fayez al Serraj, il ministro degli Esteri, Mohammed Siyala, il ministro dell’Interno, Fathi Bashagha e il presidente della compagnia petrolifera National Oil Corporation (Noc), Mustafa Sanallah, per decidere chi e come controllerà le risorse energetiche libiche.

Insomma i due incontri fatti dal ministro turco serviranno a breve e medio termine alla spartizione del potere, mentre quello svolto con Di Maio ha avuto uno ruolo solo scenografico. D’altronde, a nostro modo di vedere, è difficile negare come l’Italia stia ormai perdendo sempre di più la partita sullo scacchiere del Mediterraneo orientale proprio con la Turchia.

Diverse sono le ragioni. Per esempio l’assenza di una politica estera costruita su obiettivi chiari, ma soprattutto la mancanza di una politica di proiezione di potenza, assenza questa fatale di fronte ad un rivale come la Turchia che sta perseguendo una politica estera spregiudicata sia in Libia che a Cipro.

Fra le concause vi è certamente anche l’assenza di una identità nazionale che ha sempre caratterizzato la storia del nostro paese rispetto alla Francia, alla Gran Bretagna e alla Germania, mancanza che ha determinato – e determinerà – per il nostro paese danni considerevoli nel perseguimento del proprio interesse nazionale.