Il ritorno dell’interesse verso la geopolitica e l’ormai generalizzata critica all’economicismo, un tempo imperante, avevano contribuito a disegnare un quadro nel quale la Cina scontava nel Mar Cinese meridionale la superiorità militare americana e che la vedeva circondata, nello scenario dell’Indo-Pacifico, dall’alleanza informale “The Quadrilateral Initiative” che oltre agli americani comprende l’Australia, il Giappone e l’India. Ma la realtà è molto diversa.
Con la firma dell’accordo sulla Regional Comprehenesive Economic Parternship (Rcep) la Cina si pone al centro della più grande area di libero scambio al mondo che riguarda all’incirca il 30% del Pil e della popolazione mondiali. Il valore di questo accordo che vede l’estensione dell’influenza cinese all’area dei paesi dell’Asean, un forum, che conviene ricordare, aveva storicamente una funzione di contenimento anti-cinese e anti-comunista. A conferma della portata storica dell’accordo va ricordato che è stato firmato anche da Giappone, Cina, Corea del Sud, Nuova Zelanda e Australia, con la sola India fra le grandi economie dell’area a rimanere fuori.
La maggior parte degli analisti concorda sul fatto che la firma del Rcep rappresenta un grande vittoria per la Cina e un dossier complesso per gli Usa che con la presidenza Trump hanno rinunciato al Partenariato Trans-Pacifico (Tpp) che rappresentava l’asse della strategia obamiana del “Pivot to Asia”.
Gli Usa hanno pagato la mancanza nell’amministrazione Trump di una strategia d’insieme per l’area dell’Indo-Pacifico, puntando esclusivamente sulla risoluzione di singole controversie commerciali e su accordi bilaterali all’interno dei quali potevano far pesare il loro peso economico e militare. Il Rcep arriva dopo otto anni di trattative, ma a un ben vedere è dal 2005 – non a caso la data in cui si avviarono le trattative per il Tpp per la prima volta – ovvero dal primo East Asian Summit di Kuala Lumpur, che gli Usa hanno cercato di impedire la formazione di un Asean allargato alla Cina. La partita geopolitica più importante perché coinvolge direttamente due paesi fondamentali per la strategia americana, ovvero la Corea del Sud e il Giappone.
Non è un caso che a pochi giorni dalla firma del Rcep, Marc Knapper, il vice segretario di Stato americano responsabile dei rapporti diplomatici con Corea e Giappone, apertamente e in modo inusuale per i codici della diplomazia ha invitato i due paesi a prendere una posizione netta contro la Cina e quindi denunciare il trattamento delle minoranze uigure e dei manifestanti pro-democrazia ad Hong Kong. Il diplomatico Usa ha anche tenuto a rimarcare la natura “molto complessa e ricca di sfumature” del rapporto che i due paesi asiatici hanno con la Cina, in definitiva ha chiesto di porre fine all’ambiguità su temi dirimenti come quello della “democrazia” e della “libertà”.
È interessante notare come, a pochi giorni dall’elezione del presidente Biden, poco sia cambiato nell’atteggiamento degli Usa nei confronti della Cina, ma al momento questa impostazione sembra rappresentare un residuo del passato, in cui il ricorso a trattarti bilaterali e sostanzialmente al “divide et impera” aveva garantito l’egemonia Usa nell’area. Al momento, però, la firma del Rcep definisce un quadro multipolare in cui Giappone e Corea del Sud trattano alla pari con la Cina, contribuendo a determinare in Asia nel medio e nel lungo periodo gli standard finanziari e commerciali.
Come ricordavamo tempo fa, l’integrazione economica regionale in Asia è un elemento connaturato di quello che Bruce Cummings ha chiamato “arcipelago capitalistico” che ha prosperato all’ombra della guida unilaterale americana di natura diplomatica e militare, divenendo progressivamente più integrato e interconnesso. Un sistema di relazioni gerarchizzato che non ha precedenti nella storia asiatica, con la parziale eccezione della dinastia Yuan del XIII e XIV secolo e dell’imperialismo giapponese del XX secolo.
A riguardo il rapporto fra Cina e Giappone è alquanto indicativo. Per molti osservatori gli interessi dei due giganti asiatici erano destinati a confliggere, ma a dispetto di molte previsioni i due paesi hanno firmato un accordo di più di millecinquecento pagine che interessano settori strategici come la proprietà intellettuale, le telecomunicazioni e la tecnologia.
Altrettanto interessante è rimarcare la valenza delle dichiarazioni di Li Keqiang secondo il quale il Rcep segna la vittoria del libero mercato e del multilateralismo sull’egoismo e il protezionismo. Una dichiarazione dall’evidente valenza propagandistica, che però ha condizionato il dibattito sulla firma dell’accordo. Non è dato sapere al momento se l’accordo coincida con il ritorno sulla scena di Li, esponente dei Tuanpai, e quindi di una strategia multipolare e riformista non sempre in linea con quella di Xi Jinping, ma è evidente che mentre rinsalda i rapporti con gli altri paesi asiatici, la Cina guarda già all’Ue come campo privilegiato per il prossimo salto di qualità nella sua strategia diplomatica che dovrebbe entro la fine dell’anno portare al Comprehensive Agreement on Investments (Cai).
Rcep e Cai, seppure nelle loro differenze strutturali – uno punta a un’area di libero scambio, mentre l’altro potrebbe facilitare l’accesso ai rispettivi mercati cinesi ed europeo – sono due aspetti integrati di una strategia globale che potrebbe isolare ulteriormente gli Usa, aprendo una nuova stagione della globalizzazione basata su un multilateralismo a guida cinese.
Se è difficile immaginare che gli Usa di Biden nel breve periodo abbandonino il loro atteggiamento verso la Cina, è già possibile individuare nel Giappone e nella Germania – che durante la pandemia ha reso i suoi rapporti con Pechino ancora più stretti – i partner più importanti della strategia globale cinese. Paesi che puntano al raggiungimento di uno status di potenze geopolitiche e quindi a una piena autonomia diplomatica, militare ed economica.
Alle altre potenze regionali non rimane che augurarsi che il multilateralismo auspicato da Pechino sia davvero tale, provando a inserirsi in un gioco le cui regole sembrano già fissate.