Il Medio Oriente è la regione dove la politica estera di Joe Biden potrebbe più distanziarsi da quella di Donald Trump, come risulta già dalle prime dichiarazioni del nuovo presidente.
In prima linea è la volontà di far rientrare gli Stati Uniti nel trattato sul nucleare: se andassero a buon fine le trattative con Teheran, pur con le difficoltà che comportano, le ripercussioni sarebbero notevoli in tutta l’area. A cominciare da Israele, verso il quale è prevedibile un atteggiamento diverso rispetto alla completa apertura di Trump, soprattutto riguardo alla questione palestinese. In particolare, è probabile una minore acquiescenza sugli insediamenti abusivi di coloni israeliani, all’origine degli scontri recenti tra esercito israeliano e palestinesi.
Il cambiamento più sostanziale è probabile avvenga nei confronti dell’Arabia Saudita, visto che la difesa dei diritti umani è un punto centrale nel programma del duo presidenziale Biden-Harris. A partire dall’assassinio di Jamal Khashoggi, il regime saudita si è distinto in modo molto negativo sotto questo profilo, anche se ciò è sembrato irrilevante per Trump.
Si aggiunge poi, particolarmente grave, la guerra nello Yemen, ormai entrata nel settimo anno. Qui la situazione umanitaria è sempre più disastrosa e, secondo l’Onu, l’80% della popolazione necessita di aiuti umanitari, con almeno 400mila bambini a rischio di morire di fame. Sul fronte militare, la ribellione degli Houthi sciiti, appoggiati dall’Iran, è ben lungi dall’essere soffocata e la coalizione guidata dai sauditi ha visto la defezione degli Emirati Arabi Uniti e il risorgere del separatismo nella regione di Aden.
Circa lo Yemen, Biden ha già cancellato l’iscrizione degli Houthi nella lista delle organizzazioni terroristiche, voluta da Trump negli ultimi tempi del suo mandato. Ha poi dichiarato di voler sospendere la vendita all’Arabia Saudita di armi offensive, mantenendo solo quella delle armi di difesa. Nel 2019, una mozione bipartisan in questa direzione era stata votata al Congresso, ma Trump aveva posto il veto. Una risoluzione simile è stata votata nel luglio dello scorso anno dalla Commissione per gli Affari esteri dell’Unione Europea. Nei giorni scorsi, inoltre, il Parlamento europeo ha votato una risoluzione che invita a cessare il conflitto e a trovare una soluzione diplomatica, impegnandosi nel contempo a triplicare gli aiuti umanitari allo Yemen.
Come risulta da un rapporto del Sipri, un istituto internazionale di ricerca sui conflitti e armamenti, i sauditi sono i maggiori acquirenti di armi. Nel periodo 2015- 2019 il commercio internazionale di armamenti è aumentato del 5,5% rispetto ai cinque anni precedenti, ma con un incremento del 23% per gli Stati Uniti. Circa un quarto delle esportazioni statunitensi è andato all’Arabia Saudita, che ha aumentato le sue importazioni di armamenti del 130% sui cinque anni precedenti, raggiungendo nel quinquennio in esame il 12% del commercio globale di armi. Il 73% delle importazioni saudite è arrivato dagli Usa e il 13% dal Regno Unito.
I numeri su esposti danno un discreta forza a Riyadh nelle discussioni con Washington, tanto più che i sauditi continuano a giocare un ruolo basilare anche per quanto riguarda il petrolio e il suo prezzo. La politica energetica è un altro punto di contrasto tra Trump e Biden: il primo quantomeno non avversario dei combustibili fossili, il secondo sostenitore della transizione energetica. Infatti, una delle sue prime iniziative è stata l’annullamento del progetto Keystone XL, l’oleodotto che porterebbe a raddoppiare le importazioni di petrolio dalla provincia canadese di Alberta. Tuttavia, Biden non può ignorare la grave situazione finanziaria in cui si trovano molti produttori di petrolio e gas da scisto a causa del calo dei prezzi. E qui ritorna determinante il ruolo dell’Arabia Saudita.
Per evitare che a pagare il prezzo di questi conflitti internazionali siano ancora gli yemeniti, occorre che la nuova amministrazione americana sia affiancata anche da altri protagonisti internazionali, in primo luogo dall’Unione Europea.