L’Europa si è cacciata da sola in un vicolo cieco. Senza una politica energetica unitaria di approvvigionamenti, ha deciso con l’European Green Deal obiettivi che la disarmano ancor di più andando ad aggravare la sua dipendenza energetica dalla Russia. Nel 2050 infatti non devono essere “più generate emissioni nette di gas a effetto serra, che la crescita economica sia dissociata dall’uso delle risorse e ha adottato una serie di proposte per trasformare le politiche dell’Ue in materia di clima, energia, trasporti e fiscalità in modo da ridurre le emissioni nette di gas a effetto serra di almeno il 55% entro il 2030 rispetto ai livelli del 1990”.
Questo significa che le fonti inquinanti per produrre energia elettrica, carbone (35,1% del mercato) e petrolio, dovranno essere sostituite dalle rinnovabili. Con una precisazione, a detenere il primato in classifica delle fonti è il carbone, che però è anche di gran lunga la materia prima più inquinante.
La conseguenza è che i paesi europei che estraggono carbone e lo utilizzano per produrre energia come Germania, Polonia, Repubblica Ceca e poi Grecia, Bulgaria, Romania devono attrezzarsi a cambiare velocemente fonte di approvvigionamento. E il primo combustibile disponibile sul mercato meno inquinante del petrolio è rappresentato dal gas, che l’Europa importa per il 40% dalla Russia. Oppure si può decidere, come ha fatto la Francia scontrandosi duramente con la Germania, che il nucleare è un’energia pulita.
E qui arrivano le dolenti note. La prima: il prezzo del gas negli ultimi tempi ha avuto un andamento pazzesco, il suo prezzo in pochi anni è quintuplicato sui mercati mondiali, con conseguenze prevedibili. Secondo Davide Tabarelli, presidente di Nomisma Energia, “senza interventi del governo, al 1° gennaio 2022 le bollette del gas aumenteranno del 50%, quelle dell’elettricità almeno del 17%, ma forse del 25%” e questo perché “i prezzi internazionali oramai sono fuori controllo”. E la situazione è resa ancor più drammatica perché le scorte nell’Unione europea sono diminuite in modo drastico nel corso dell’ultimo anno.
Ora, siccome i paesi produttori di gas non sono infiniti e il secondo paese al mondo è la Russia, sarebbe stato sensato pensare che l’Europa si presentasse alla corte dello Zar con un’unica voce. Ma questo non è avvenuto. Ogni paese conduce una partita solitaria, permettendo a Putin di giocare come meglio crede le sue carte. Innanzitutto, vi è la Germania che già si approvvigiona direttamente dalla Russia via mare con il gasdotto Nord Stream 1 e che non ha nessuna intenzione di perdere questo rapporto privilegiato con il potente vicino. E, infatti, fa orecchie da mercante alle pressioni di Biden di inserire il blocco dei lavori per lo Stream 2, in caso di sanzioni alla Russia per la questione ucraina.
Un esempio delle conseguenze che una simile politica (non politica) energetica dell’Unione Europea e delle contraddizioni che comporta in politica estera nelle relazioni con la Russia è rappresentato dal caso della Moldavia. In questo frangente infatti Gazprom, pur volendosi presentare sui mercati come partner affidabile, si è ben guardata dall’aprire i rubinetti della produzione, costringendo alcuni paesi che si riforniscono quasi esclusivamente dalla Russia a fare appello a Bruxelles, che in effetti è intervenuta. Mosca però ha rilanciato e ha chiesto, in cambio di un nuovo accordo a prezzi più convenienti per la Moldavia, una politica più accomodante nei propri confronti, mettendo la premier Natalia Gravillita, e l’Unione europea, in una situazione molto difficile. E la conclusione è stata che Gazprom ha strappato un nuovo accordo.
Ma vi è anche il caso dell’Ungheria, che ha sottoscritto un nuovo contratto alle condizioni della compagnia russa: durata di quindici anni e forniture attraverso Turkstream, gasdotto che non passa per l’Ucraina, sottraendo a Kiev le entrate per il transito del gas.
Gli stati europei dell’Est, una volta satelliti dell’Urss, che conoscono bene Mosca, hanno accusato esplicitamente Mosca di fare il gioco sporco, di stare manipolando attraverso Gazprom il mercato per ricattare politicamente l’Europa. Accuse respinte al mittente da Putin.
La verità vera è che la politica energetica di uno Stato è parte integrante della politica estera che a sua volta non può essere nemmeno concepita in modo separato da scelte strategiche e di sicurezza. La sicurezza degli approvvigionamenti energetici è uno dei primi obiettivi di ogni Stato, lo sapeva bene l’impero inglese che si assicurò nell’Ottocento i porti per il rifornimento di carbone per la sua flotta e, con l’avvento del petrolio, prima l’accesso al Medio Oriente e poi il controllo diretto dei pozzi. Per non parlare degli Stati Uniti che, ereditando il ruolo imperiale dopo la Seconda guerra mondiale, strinsero subito accordi strettissimi con l’Arabia Saudita e per il controllo del Golfo Persico.
L’Unione europea sembra, però, non conoscere la storia. Ancora una volta, durante una crisi internazionale come è questa degli approvvigionamenti, Bruxelles ha dimostrato che è priva di tale volontà unitaria o meglio che a scrivere le linee di comportamento sono gli Stati più forti, andando ad aggiungere caos alla già caotica situazione internazionale.
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