Iniziamo dal discorso di Putin pronunciato il 17 giugno al Forum economico di San Pietroburgo in presenza del gotha dell’economia russa e con oltre 200 compagnie occidentali e straniere rappresentate. Sul piano istituzionale hanno partecipato 127 delegazioni nazionali con la visibile presenza di Kassym-Jomart Kemelevich Tokayev, presidente del Kazakhstan, Abdel Fattah El-Sisi, presidente dell’Egitto, Mohammed bin Salman Al Saud, principe ereditario dell’Arabia Saudita, e in connessione remota Xi Jinping, presidente della Repubblica Popolare di Cina. Il messaggio plastico dell’evento è che la Russia non è isolata e che Putin gode di buona salute.
Un discorso con due facce, l’una rivolta all’interno e l’altra, più seducente, rivolta all’Occidente e al resto del mondo. Il messaggio di fondo è che “il vecchio sistema non può essere rilanciato”: “il mondo unipolare (modelli unici imposti da un solo centro di potere) non esiste più, perché altri centri di potere esistono in omaggio alla diversità delle civiltà del pianeta” ed è in corso il “processo graduale di conversione dalle riserve valutarie immaginarie (della bubble economy) in valori reali sostenuti da beni materiali e materie prime (energetiche, alimentari, metalli)”.
Per la platea domestica, il discorso è stato improntato ad un equilibrato realismo, incentrato sulla “sovranità tecnologico-economica”, testimoniata dallo sviluppo tecnologico russo che è una direzione trasversale nell’intero XXI secolo. Il nuovo modello economico della Russia è incentrato su alcuni princìpi:
a) Apertura: partenariato equo per lo sviluppo globale;
b) Fiducia: stimoli, sconti fiscali, sospensione delle verifiche, mantenendo tutto sotto il controllo dello Stato;
c) Giustizia sociale: riduzione delle diseguaglianze e della povertà che passa necessariamente per l’aumento della domanda di prodotti domestici.
Inoltre, Putin ha lanciato progetti per piattaforme digitali domestiche logistiche e di e-commerce, ha confermato che la Russia dispone già di un sistema di pagamenti indipendente da quelli occidentali, ha invitato i miliardari (oligarchi) e le compagnie a fare come i capitalisti occidentali, investendo nell’immobiliare russo che ha un grande potenziale di bene rifugio (ancora poco sfruttato), e infine ha esortato a non farsi accecare dalle ricchezze create “senza poter conservare un buon nome” (riferimento indiretto alle mafie e alla corruzione). Pur dichiarando che le sanzioni occidentali non hanno avuto gli effetti auspicati, Putin ha insistito sulla necessità di investire nell’economia russa, ricordando il vasto intervento statale a garanzia dei ceti più deboli e di stimolo fiscale per gli operatori economici. Programmi che, secondo Putin, termineranno alla fine del 2022, quando l’economia russa tornerà alle regole di mercato.
Per la platea estera, Putin ha sottolineato che il processo di cambiamento dell’economia mondiale, la globalizzazione, era già in corso negli anni precedenti all’operazione militare speciale della Russia in Donbass, resasi necessaria per difendere il futuro stesso della Russia in quanto grande potenza multinazionale. La grave crisi inflazionistica che colpisce le economie occidentali non è “l’inflazione di Putin”, ma è il risultato delle scelte irresponsabili del G7, che ha voluto mantenere in vita il vecchio sistema neocoloniale (predatorio) con emissioni valutarie incontrollate (sin dal 2008, con +38% negli Usa e +20% nell’Ue), con l’accettazione di debiti non garantiti o inesigibili, con errori sistemici nel settore energetico (particolarmente nell’Ue con l’adozione del prezzo spot del gas e la cieca credenza nelle rinnovabili) e con politiche di boicottaggio (chiamate sanzioni) che hanno frammentato le catene logistiche.
Nell’insieme, queste scelte hanno modificato il rapporto globale offerta/domanda, facendolo diminuire drasticamente, mentre con il Qe i paesi occidentali hanno rastrellato risorse in tutti i paesi del mondo: nonostante le sanzioni, l’import Usa è aumentato del 40%, nell’Ue anche peggio, particolarmente nel settore alimentare. Infatti, l’Onu ha certificato che, dal maggio 2020 ad oggi, l’indice globale del costo alimentare è aumentato del 50%. Da ultimo, le scellerate sanzioni europee bloccano i fertilizzanti russi e bielorussi, aggravando ulteriormente la penuria di prodotti alimentari, in particolare in Africa.
In questa situazione, il Fmi ha certificato che le riserve valutarie mondiali (7,5 trilioni di dollari e 2,5 trilioni di euro) si stanno deprezzando dell’8% all’anno. Molti paesi produttori di materie prime legittimamente si chiedono perché continuare gli scambi in euro/dollaro che oltre ad essere soggette a svalutazione rischiano anche di essere confiscate.
È sorprendente che l’Ue abbia deciso di rinunciare ad una qualsivoglia sovranità politica per accodarsi alla volontà e agli interessi americani, autoinfliggendosi una punizione economica basata su decisioni (le “sanzioni globali” di Borrell) avulse dalla realtà e contro il buon senso. Con queste scelte l’Ue ha perso competitività globale, il suo tasso di crescita si è rallentato, portando a cambiamenti degli orientamenti valoriali delle società europee, distruggendo la democrazia, ormai ridotta a scambi di potere tra partiti politici omologati, e ad ondate di populismo e movimenti radicali ed estremisti che travolgeranno le élite attuali nazionali e dell’Ue.
È in corso una nuova dinamica mondiale irreversibile e continuare a credere che il resto del mondo sia “periferia” è insostenibile. La fallace idea di cancellare le culture altrui (cancel culture) per imporne solo una, quella euroatlantica, inaugurata nella guerra in Jugoslavia più di un quarto di secolo fa, è rifiutata dalla maggioranza del resto del mondo. Sta nascendo un nuovo ordine mondiale, un processo difficile, con sfide e rischi difficili da prevedere. Tuttavia, è già chiaro che le regole mondiali saranno stabilite da Stati forti e sovrani, mentre gli altri rimarranno colonie prive di diritti. La Russia sta entrando nell’era per essere un potente paese sovrano.
Pochi giorni prima dell’evento di San Pietroburgo, il 10 giugno a Venezia si riuniva il Berggruen Institute’s Tre Oci Council, una potente lobby accademico-industriale globalista, dove il decano del realismo geopolitico americano, Henri Kissinger, ha presentato la sua visione, che dice essere condivisa anche da Vladimir Zelensky, in merito ad una via d’uscita dalla guerra in corso in Ucraina e alle scelte che dovrebbero fare gli Stati Uniti a livello globale. Ecco i 4 punti salienti di Kissinger:
a) la Russia ha già perso la guerra strategica e non sarà in grado di tenere occupato con la forza il 20% del territorio ucraino; la Russia potrebbe essere tentata da un’escalation oltre il convenzionale, perché rischia la disintegrazione del suo esercito, oltre a gravi disordini in Asia centrale e problemi in Siberia;
b) l’Ucraina deve riprendere il controllo dei territori occupati il 24 febbraio, mentre la Crimea non può essere riconquistata in modo credibile; i negoziati di pace dovrebbero seguire una doppia strada mettendo sul tavolo anche la revoca delle sanzioni: ritorno dei territori conquistati dalla Russia dopo il 24 febbraio, e Crimea;
c) la struttura di sicurezza europea è già cambiata, con la relativizzazione di Regno Unito, Francia, Italia, Spagna, con l’annunciato riemergere dei tedeschi e con l’effettiva istituzione di un significativo esercito polacco-ucraino, armato/addestrato dagli americani, che guiderà il resto del continente;
d) la politica Usa/Cina deve consentire alla Cina di partecipare (non determinare o dominare) alla creazione delle regole globali con gli Stati Uniti e l’Ue; nei prossimi 20 anni l’“amicizia” Cina/Russia non esisterà più; la difesa militare degli Stati Uniti non deve essere un fine ma uno strumento, rafforzato per affrontare le sfide in tutto il mondo, per essere in grado di proteggere la civiltà occidentale.
Leggendo allo specchio le dichiarazioni di Putin e di Kissinger, sembra di vivere in un metaverso paranoico. Putin ci parla di un nuovo mondo in formazione, mentre Kissinger, ormai novantaquattrenne, torna al suo vecchio successo del 1971, riproponendo l’amicizia sino-americana per isolare la Russia.
Intanto, il 15 giugno, due primi ministri (Mario Draghi e Olaf Scholz) e due presidenti europei (Emmanuel Macrone e il rumeno Klaus Werner Iohannis) si sono recati a Kiev per incontrare Zelensky, offrendogli vaghe promesse di sostegno in un mare di ipocrisia, nell’attesa del difficile Consiglio europeo del 23 giugno. Lo stesso giorno il presidente americano, Joe Biden, ha annunciato un nuovo miliardo in aiuti militari all’Ucraina. David Arakhamia, che guida i negoziati dell’Ucraina con la Russia, il 17 giugno ha rivelato le cifre riviste delle perdite in una riunione al German Marshall Fund di Washington, indicando che solo in Donbass l’Ucraina perde 1000 soldati al giorno[6]. Lo stesso giorno il premier britannico, Boris Johnson, ha offerto all’Ucraina di formare 10.000 soldati ogni 120 giorni.
Resta il fatto che l’amministrazione del presidente Joe Biden affronta un doppio disastro dopo l’errore di calcolo dell’Ucraina, vale a dire una recessione degli Stati Uniti e una seconda umiliazione strategica nel giro di un anno (dopo l’ignominioso ritiro dall’Afghanistan). L’amministrazione Biden ha ampiamente sottovalutato l’impatto inflazionistico del pacchetto di stimolo Covid da 6 trilioni di dollari, iniziato sotto l’amministrazione di Donald Trump, ma raddoppiato sotto Biden. Ha sottovalutato la resilienza dell’economia russa e le capacità dell’esercito russo. Una soluzione negoziata della guerra, cioè negoziati diretti Usa/Russia, sarebbe un’umiliazione ulteriore per Biden. Infatti, il 14 giugno, il sottosegretario alla Difesa degli Stati Uniti, Colin H Kahl, un veterano del clan Biden dai tempi di Obama, ha dichiarato che “non diremo agli ucraini come negoziare, cosa negoziare e quando negoziare. Stabiliranno questi termini da soli”.
Intanto, la Banca centrale europea ha dovuto convocare (dopo una dura telefonata di Macron) una riunione di emergenza il 15 giugno per affrontare il deterioramento dei suoi membri più deboli e ha promesso misure ancora da specificare per prevenire la “frammentazione” dell’Unione europea.
Forse per tutte queste ragioni, non potendo esporsi direttamente, Biden ha chiesto al “suo uomo in Europa”, Mario Draghi, di condurre quel quartetto riluttante a Kiev per proporre un Minsk III, cioè congelare tutto in cambio di sostegno economico. Per ora Zelensky valuta, ma non sembra disposto a cedere sull’integrità del territorio dell’Ucraina. La guerra continua nonostante le parole del segretario generale della Nato, Stoltenberg: “La domanda è: quale prezzo siete disposti a pagare per la pace? Quanto territorio? Quanta indipendenza? Quanta sovranità? Quanta libertà? Quanta democrazia siete disposti a sacrificare per la pace? E questo è un dilemma morale molto difficile”.
Mentre i primi effetti politici della guerra e delle sanzioni in Europa sono arrivati il 19 giugno, quando Macron ha perso la maggioranza assoluta con un risultato storico per le opposizioni radicali di destra (Le Pen) e di sinistra (Mélenchon), concludiamo con le amare riflessioni di Graham E. Fuller, un ex vicepresidente del National Intelligence Council della Cia: “Una delle caratteristiche più inquietanti di questa lotta Usa-Russia in Ucraina è stata la totale corruzione dei media indipendenti. In effetti Washington ha vinto la guerra dell’informazione e della propaganda a mani basse, orchestrando tutti i media occidentali per cantare dallo stesso spartito nel caratterizzare la guerra in Ucraina. L’Occidente non ha mai assistito prima a una tale imposizione generale da parte della prospettiva geopolitica ideologicamente guidata di un paese. Gli analisti seri devono scavare in profondità in questi giorni per ottenere una comprensione obiettiva di ciò che sta realmente accadendo in Ucraina. Purtroppo per Washington, quasi tutte le sue aspettative su questa guerra si stanno rivelando errate. In effetti, l’Occidente potrebbe arrivare a guardare indietro a questo momento come l’ultimo atto di Washington per il dominio globale in scontri sempre più nuovi e più pericolosi e dannosi con l’Eurasia. E la maggior parte del resto del mondo – America Latina, India, Medio Oriente e Africa – trova pochi interessi nazionali in questa guerra fondamentalmente americana contro la Russia”.
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