GAINESVILLE (Florida) — Sollecitato dall’interessante dibattito che si sta svolgendo su questo quotidiano, mi permetto di proporre alcuni spunti di riflessione sull’insegnamento della storia, a partire dalla mia esperienza in Florida, dove da qualche anno insegno storia europea a studenti del secondo anno di scuola superiore.



In particolare, mi sono chiesto se la reintroduzione della traccia storia di nell’esame di Stato basti per sottolineare quanto lo studio di questa disciplina sia imprescindibile per la formazione dell’identità e della coscienza civica dei nostri ragazzi e se, per ottenere questo scopo, non sia altresì auspicabile una riforma del suo insegnamento che coinvolga tutti gli ordini e gradi del nostro sistema di istruzione.



Il primo spunto che vorrei offrire riguarda la ricorsività del percorso formativo: gli alunni italiani ripercorrono le orme dei loro antenati due volte lungo la loro carriera scolastica (una tra elementari e medie, una durante le scuole superiori), ovviamente con livelli di profondità differenti. Mi domando: è proprio necessario un percorso che per due volte affronti gli stessi argomenti? O si potrebbe pensare agli anni di formazione obbligatoria come a un unicum, e da qui costruire un percorso di storia efficace e incisivo? È indispensabile che durante le scuole medie gli studenti debbano studiare il periodo che va dalla classicità greco-romana fino ai nostri giorni, per poi riprendere nuovamente gli stessi contenuti durante gli studi superiori? O non sarebbe più opportuno, per esempio, lasciare i docenti liberi di concentrarsi solo su alcuni snodi ritenuti fondamentali, magari lavorando bene sul concetto di cronologia e sulle differenze tra i processi di causa-effetto e correlazione, con accesso a fonti primarie e secondarie (ovviamente alla portata di ragazzi così giovani)? Mi riesce sinceramente difficile capire il valore, durante la scuola media, di una lotta contro il tempo per finire un programma infinito, e che mai si conclude, su argomenti che tanto poi ciascuno ristudierà, con ben altra profondità, nel successivo ciclo di istruzione.



Il secondo spunto che mi permetto di proporre nasce più direttamente dalla mia esperienza americana: il corso che insegno, storia europea, copre il periodo 1450-2001, ed è offerto ai ragazzi del secondo anno di high school.

Certamente un lasso temporale piuttosto vasto (seppur con cinque ore di lezione settimanali dedicate alla disciplina), ma che “costringe” a un lavoro di sintesi critica innanzitutto il docente, che deve domandarsi che cosa sia veramente rilevante e significativo di ciò che sta proponendo, e aiutare i ragazzi allo stesso tipo di percorso, stimolando la loro autonomia di studio ed evitando la tentazione di “dover dire” o affrontare insieme tutto.

Una bella sfida professionale, certamente. Ma che ha anche ragioni “di sistema”: gli studenti americani, nel loro percorso quadriennale di studi superiori, sono esposti anche a un corso di storia del mondo (primo anno), di storia americana (terzo anno), e di governo ed economia americana (quarto anno). Gli si offre, insomma, la possibilità di confrontarsi con un mondo che non è necessariamente eurocentrico, ma che ha nei popoli africani, asiatici, medio-orientali dei protagonisti altrettanto significativi nel corso dei secoli. Parte di questa esigenza nasce certamente dalla peculiarità del popolo americano, che ha radici in tutte queste popolazioni, ma è altrettanto vero che in un mondo globalizzato come quello odierno, in cui il contatto tra popoli e la migrazione sono all’ordine del giorno, sarebbe forse opportuno, anche per gli alunni italiani, avere la possibilità (e il tempo) di studiare punti di vista ed avvenimenti storici globali.

Infine, un’osservazione di metodo: a differenza di quanto avviene nella scuola anglosassone, in Italia tutte le nostre discipline, in particolare nel triennio della scuola superiore, sono organizzate secondo una progressione cronologica, partendo dall’antichità classica fino ai nostri giorni. Con un ultimo equivoco che ci si trovi di fronte a un’evoluzione storica dello spirito, dalle origini dell’umanità fino al progresso contemporaneo. Tuttavia, Dante o Michelangelo possono essere studiati anche nella loro assoluta statura di artisti, di classici a- e sovra-temporali, senza doverli per forza associare alle caratteristiche dell’epoca in cui sono vissuti.

Ecco che, ancora una volta, la necessità di ripensare a come insegniamo la storia prende il sopravvento: è possibile formare un pensiero storico critico senza doverlo ridurre a un’evoluzione culturale? Quali sono gli obiettivi e i metodi propri dello studio della storia? E come raggiungerli durante il percorso formativo di un alunno, considerato come unicum, partendo dalla scuola primaria, fino a quella secondaria di primo e di secondo grado?

Mi sembrano domande stimolanti per poter ripensare all’insegnamento della storia come a un momento formativo imprescindibile per i nostri studenti, che offra loro la possibilità di sviluppare capacità critiche e di ragionamento indispensabili per capire il mondo di oggi, e incontrare e accogliere l’altro, sia che provenga della propria sia da una differente cultura.