Più volte su queste pagine abbiamo discusso della guerra economica tra gli Stati Uniti e la Cina. È venuto adesso il momento di rivolgere la nostra attenzione alla dimensione interna della Cina allo scopo di sottolineare la dimensione totalitaria di matrice marxista ed asiatica dell’attuale regime. La natura totalitaria della ideologia comunista – a lungo studiata sotto il profilo sociologico dal compianto Luciano Pellicani – si palesa – ieri come oggi – in tutta la sua drammatica efficacia nel controllo dell’educazione.
L’università infatti svolge un ruolo fondamentale per consolidare il regime totalitario cinese e non a caso, a cominciare dal semestre autunnale, le scuole marxiste di ben 37 università promuoveranno veri e propri corsi di introduzione al pensiero dell’attuale leader Xi Jinping, lezioni – allo stato attuale raccolte in tre volumi – relative al socialismo cinese, con lo scopo di educare la gioventù a concepire la Cina come una nazione destinata a diventare egemone a livello mondiale in funzione anticapitalistica e in particolare antiamericana.
Il pensiero di Xi sarà dunque studiato accanto a quello dei classici del marxismo e di Mao. Al di là della retorica dei 14 principi fondamentali del presidente l’elemento che emerge in modo prepotente è la centralità assoluta del Partito letto come architrave della nazione cinese. È proprio il partito – che Lenin avrebbe chiamato la dittatura del proletariato – a costituire l’architrave della nazione cinese sotto il profilo politico, economico e militare.
Il totalitarismo interno si coniuga con una politica di proiezione di potenza a livello internazionale. Totalitarismo interno la cui efficacia dipende anche dall’uso mirato della tecnologia della IA, della video sorveglianza e dello smartphone per diffondere il pensiero di Xi attraverso una app denominata xuexi qiangguo che significa “studiare per rendere forte il paese” oppure “studiare Xi (Jinping) per rendere forte il paese”.
In un contesto di tale natura il dissenso – ampiamente garantito nelle democrazie occidentali – è al contrario considerato inaccettabile e inammissibile, come dimostrano da un lato i campi di rieducazione per gli uiguri e per i tibetani, e dall’altro lato il licenziamento e la prigionia nel classico stile sia dei paesi totalitari che in quelli autoritari come la Turchia e l’Egitto. Pensiamo al caso del docente Xu Zhangrun, licenziato dall’Università Tsinghua anche per avere criticato la gestione dell’epidemia, oppure al licenziamento e alla incarcerazione del docente Xu Zhiyong.
Sotto il profilo delle relazioni internazionali e, in particolare, della politica economica internazionale e delle conseguenti partnership economiche tra Europa e Cina, non possiamo né dobbiamo dimenticare in quanto europei, al di là della necessità e opportunità di siglare accordi commerciali con la Cina – come d’altra parte con la Turchia o con l’Egitto –, la natura intrinsecamente totalitaria del Dragone e come questa sia incompatibile con le politiche di emancipazione poste in essere dall’Europa dal settecento in poi.