Questo articolo – ispirato anche dagli studi di Aldo Giannuli – parte non da un’ipotesi ma da una constatazione storica, cioè da una constatazione di fatto: i servizi di sicurezza – strumento indispensabile per salvaguardare la sicurezza di ogni Stato democratico o meno che sia – hanno collaborato e collaborano per i loro scopi (legittimi o meno che siamo) con la criminalità organizzata, utilizzando spesso e volentieri sistemi esattamente simili a quelli utilizzati da quest’ultima (come la tortura o l’uso di omicidi mirati). Superfluo osservare che una tale collaborazione implica – direi quasi logicamente – una collaborazione altrettanto stretta con le istituzioni politiche e con quelle bancarie e finanziarie.



Insomma il Deep state esiste accanto a quello istituzionale con il quale coopera in modo sinergico. A questo punto è evidente che i confini tra ciò che è moralmente e giuridicamente lecito e ciò che non lo è vengono meno. Durante i periodi di conflitto, sia di natura tradizionale che di natura asimmetrica, questa collaborazione diventa particolarmente stretta e soprattutto indispensabile per salvaguardare le rispettive zone di influenza, come avvenne durante la guerra fredda. Se quindi durante la guerra fredda in Italia venne posta in essere la strategia della tensione, questa non deve essere vista come una deviazione dall’ordine normale delle cose, ma come l’esito logico di una collaborazione che è sempre esistita tra lo Stato ufficiale e lo Stato parallelo.



Allo scopo di illustrare, seppure brevemente, quanto sostenuto, faremo riferimento al saggio di William Blum per quanto riguarda gli Usa e di Ryan Gingeras per quanto concerne la Turchia.

William Blum, nel suo splendido Con la scusa della libertà. Si può parlare di impero americano? (Marco Tropea editore, 2002) illustra in modo assolutamente limpido i rapporti tra la Cia e il traffico di droga nel Sudest asiatico. Quando la Cia si alleò con i birmani in funzione anticomunista chiuse gli occhi sul fatto che i suoi nuovi alleati stessero oramai diventando i signori dell’oppio nel triangolo d’oro. Non solo: la Air America – compagnia aerea controllata dalla Cia – trasportava droga in tutto il Sudest asiatico trasferendola in luoghi dove l’oppio poteva essere trasformato in eroina. Durante la guerra del Vietnam e del Laos, la Cia lavorò in stretta sinergia con i numerosi signori della guerra dediti alla coltivazione dell’oppio, come ricorda l’autore. Per ricambiarli del supporto che avevano dato a livello operativo e di intelligence in funzione anticomunista, la Cia finì per proteggerne le attività illegali.



Tanto è vero che i piloti di questa compagnia aerea furono direttamente coinvolti nel trasporto di droga in tutta la regione. La banca che fungeva da filtro di questo commercio fu la Nugan Hand australiana, che fu in grado di aprire filiali in Arabia Saudita, Europa, America latina e naturalment Sudest asiatico. Questo istituto bancario costituì il principale punto di riferimento sia per il narcotraffico che per quello delle armi, divenne cioè uno strumento fondamentale per riciclare il denaro sporco fino a quando, nel 1980, non fallì. Nonostante le agenzie americane come la Dea e la Cia sapessero che Noriega fin dal 1971 era pesantemente coinvolto nel commercio di droga e nel riciclaggio di denaro sporco, la Cia non ebbe alcuna remora morale a servirsi di lui in funzione anticomunista e più esattamente per contrastare i comunisti del Nicaragua appoggiando i contras.

Come ebbe modo di dire il direttore della Cia negli anni 80, William Casey, Noriega aveva fornito un utile supporto alle politiche americane in centro America ed in particolare in Nicaragua. Quando il contesto politico cambiò, l’amministrazione Bush decise di eliminarlo invadendo Panama. D’altra parte, nel 1989, la sottocommissione del Senato sul terrorismo, sulla droga e sui traffici internazionali affermò esplicitamente che tutti coloro che aiutarono i contras furono pesantemente coinvolti nel narcotraffico. Uno dei legami più significativi fu quello tra l’agente della Cia John Hull e il generale George Morales, trafficante di droga colombiano residente a Miami.

Anche per quanto riguarda l’Honduras – nazione centrale per contrastare il comunismo presente in America latina – sia la Cia che la Dea non ebbero alcuna esitazione a coprire il il capillare traffico di droga praticato da molti membri dell’esercito dell’Honduras. A questo proposito fu proprio la Cia a richiedere a Alan Hyde – uno dei principali trafficanti di droga dell’Honduras – di poter trasportare le forniture militari destinate ai contras.

Per quanto riguarda l’Afghanistan, quando la Cia appoggiò i ribelli mujaheddin in funzione anticomunista, il traffico di oppio e la raffinazione dell’eroina che erano localizzati al confine dell’Afghanistan col Pakistan furono protetti proprio dalla Cia.

Per quanto riguarda l’uso della tortura il giornalista americano Bloom riporta alcuni illuminanti e drammatici esempi. Quando la Cia decise di contribuire alla realizzazione del servizio segreto greco Kyp in funzione anticomunista l’uso della tortura che venne fatto da questo servizio fu la conseguenza dell’addestramento ricevuto dalla Cia americana. Nello specifico l’autore ricorda come anche gli strumenti per attuare la tortura fossero passati dagli americani (come per esempio la ghirlanda di ferro).

Per quanto riguarda l’Iran, negli anni 70 il servizio segreto iraniano, il Savak, ricevette istruzioni precise dalla Cia sull’uso della tortura, come ricorda un ex analista della Cia, Jesse J. Leaf.

Durante la guerra del Vietnam l’uso della tortura fu ampio e sistematico da entrambe le parti. Per quanto riguarda gli Stati Uniti, attraverso l’operazione denominata Phoenix, la Cia si servì di tecniche di tortura come lo shock elettrico ai genitali o come la tecnica di gettare nel vuoto dagli elicotteri i prigionieri per costringere altri prigionieri più importanti di loro a parlare. In Uruguay le torture praticate ai prigionieri politici erano spesso coordinate dal responsabile del servizio di sicurezza della polizia uruguaiana e cioè Alessandro Otero e furono il risultato della collaborazione con i consiglieri americani.

Significativo fu l’uso della tortura in Guatemala: il servizio di sicurezza speciale dell’esercito del Guatemala denominato G2 collaborava con la Cia nell’uso della tortura contro i sovversivi. Come ricorda Blum, la Cia aveva degli esponenti molto importanti all’interno di questo servizio. Per non parlare poi del fatto che il generale Morales – ministro della Difesa nel 1989 – collaborò strettamente con la Cia nell’eliminazione dei sovversivi.

Per quanti riguarda El Salvador, come rivelato dal New York Times nel 1982, i prigionieri politici venivano sottoposti a tortura e l’uso della tortura fu insegnato dai Berretti verdi. Anche la Turchia, come la gran parte dei paesi europei, ha una vera e propria organizzazione criminale denominata mafya – come sottolinea Ryan Gingeras, docente presso il National Security Affairs del Naval Postgraduate School nel suo saggio Heroin, Organized Crime and the Making of Modern Turkey (New York 2014, Oxford University Press) – mafia che si basa prevalentemente sui legami di clan o di natura territoriale e che collabora in modo sinergico con le istituzioni politiche e soprattutto con quelle economiche in modo speculare alla mafia italiana o alla ‘ndrangheta calabrese. La mafia turca – già presente durante la seconda guerra mondiale – si occupava della coltivazione dell’oppio, della produzione e del contrabbando di eroina. Per l’esportazione della droga negli Usa collaborava con la mafia corsa che le consentiva di raggiungere gli Stati Uniti attraverso Marsiglia.

Di particolare importanza sono i rapporti tra la mafia turca e i movimenti politici di destra come di sinistra, come per esempio a quello neofascista denominato Movimento nazionalista (Mhp) oppure all’estrema sinistra come nel caso delle Associazioni culturali rivoluzionarie orientali (Devrimci Doğu Kültür Dernekleri, Ddkd). Tra gli esponenti più noti della mafia turca non possiamo non menzionare il caso di Behçet “Beco” Cantürk che dagli anni 50 agli anni 90 fu uno dei massimi esponenti della mafia turca riconosciuto anche a livello europeo.

Alla luce di questi semplici dati non devono certo sorprendere i legami esistenti tra la mafia turca e i servizi segreti turchi. Per esempio nel 1995 l’ex responsabile dei servizi di sicurezza turchi Mehmet Ağar collaborò con uno dei più noti mafiosi turchi, Hüseyin Baybas – considerato una sorta di Pablo Escobar europeo – per contrastare il Pkk la cui ricchezza, valutata intorno ai 45 miliardi di dollari, si costruì anche sul narcotraffico oltre che sul riciclaggio di denaro sporco attraverso il settore turistico.

Tuttavia uno dei legami più significativi tra la mafia turca e il potere politico turco è quello tra Mehmet Nabi İnciler detto İnci Baba, potentissimo esponente della mafia turca, e Süleyman Demirel, premier turco ed ex presidente della Repubblica che negli anni settanta non solo dichiarò pubblicamente il proprio sostegno a İnci Baba ma lo invitò a ricevimenti ufficiali facendosi accompagnare in diversi viaggi all’estero, tra cui uno negli Stati Uniti. In quell’occasione İnci Baba si recò a Chicago per omaggiare addirittura la tomba di Al Capone.

In ultima analisi l’indagine del docente universitario americano dimostra in modo incontrovertibile come anche in Turchia – come d’altra parte Cina, in Russia, in Italia e negli Stati Uniti – esista non un intreccio occasionale ma strutturale tra ambienti della sicurezza, criminalità organizzata e politica. Insomma un vero e proprio Stato parallelo contiguo a quello istituzionale.