Sono passati settantacinque anni, tre generazioni, dalla fine della Seconda guerra mondiale, un conflitto che ha segnato la vittoria delle democrazie sulle dittature anche se ha aperto il capitolo della “Guerra fredda” conclusa con la caduta del muro di Berlino alla fine degli anni ’80. In tutto questo periodo sono progressivamente cambiati i parametri di confronto, ma non sono mancati i conflitti, questa volta soprattutto interni, che hanno minacciato la stabilità delle democrazie. Basti ricordare gli anni di piombo in Italia, con un terrorismo che è arrivato a colpire le più alte cariche dello Stato, i “troubles” che hanno sconvolto per lunghi anni l’Irlanda del Nord, così come gli attentati dell’Eta in Spagna.



Fatti e tragedie del secolo scorso in cui le strutture democratiche hanno dimostrato la propria forza di contrasto e di giustificata repressione. 

In questi anni Duemila anche la sicurezza ha cambiato prospettiva. Nel mondo multipolare le strade dei conflitti devono fare i conti con i nuovi orizzonti della complessità. Vi sono aree di endemica instabilità, come il Medio Oriente, con scontri aperti, come quelli tra Israele e i palestinesi di Hamas, così come guerre dimenticate, come quella dello Yemen. Ci sono le espressioni dell’integralismo islamico, come in Iran, e grandi incognite come quelle legate al futuro dell’Afghanistan dove sia ormai insediando il nuovo regime dei talebani.



Tra le grandi potenze sono, almeno in apparenza, i conflitti commerciali a dominare lo scenario, ma sullo sfondo restano aperti i confronti militari anche per il controllo delle grandi vie dei traffici navali. 

Il mondo attuale deve quindi fare i conti con una violenza collettiva che spesso cova sotto la cenere e che rischia tuttavia di mettere in pericolo le stesse strutture democratiche che hanno certamente basi più solide che in passato (basti pensare ai capisaldi dell’Unione europea), ma che hanno comunque anche imprevedibili fragilità.

Proprio per non perdere la memoria di una storia segnato dai conflitti e dalla violenza e nella convinzione che indicare un pericolo è già fare un passo avanti per affrontarlo, appare particolarmente utile il libro curato da Angelo Panebianco dal titolo “Democrazia e sicurezza: società occidentali e violenza collettiva” (Ed. Il Mulino, pagg. 340, € 28), un libro che raccoglie una serie di saggi che affrontano il tema sotto la prospettiva della multidisciplinarietà.



Economisti, sociologi, politologi, esperti militari compongono così un quadro in cui si intrecciano visioni diverse, ma accomunate dalla consapevolezza che i cambiamenti sono sempre più rapidi e quindi in grado di mettere in crisi anche modelli teorici consolidati. Lo dimostra, per esempio, lo stesso saggio del curatore del volume dove si sottolinea in conclusione che “nella difficile coesistenza tra ragion di Stato e democrazia si rivela la condizione paradossale e qualche volta tragica, in cui si trovano gli esseri umani, costantemente divisi – sottolinea Panebianco – tra due esigenze contraddittorie: ottenere protezione dalla politica e proteggersi da quella stessa politica di cui si invoca la protezione”.

Altrettanto significativo è il fatto che il saggio conclusivo, firmato da Giampiero Giacomello, sia dedicato a “Le guerre cibernetiche: infrastrutture critiche e democrazia”. Come nel passato gli atti di guerra colpivano i ponti e le ferrovie, così ora nel mondo interconnesso sono le reti informatiche gli oggetti presi di mira dai nuovi terroristi. Con organizzazioni criminali che diffondono virus in grado di bloccare le operazioni di grandi imprese, come è avvenuto nelle scorse settimane con l’attacco alla Colonial (la società che gestisce la distribuzione di combustibili lungo la costa atlantica degli Stati Uniti) da parte di hacker quasi sicuramente russi.

Se pensiamo a quanto la nostra vita quotidiana sia ormai affidata alle reti, dai conti bancari al controllo del traffico, dalla sicurezza alimentare alle informazioni su cui basiamo le nostre scelte politiche, non possiamo che impegnarci per mettere in luce i pericoli, per farli conoscere, per chiedere che le garanzie pubbliche e private siano sempre al massimo livello.

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