Genitori, professori, insegnanti e formatori a vario titolo, spinti dalle migliori intenzioni, offrono ai giovani “mappe esistenziali”: consigliano percorsi di studio, attività da intraprendere, competenze da acquisire e ostacoli da evitare. In sostanza, tendono a dire: “Vai in quella direzione, fai questa scelta, mira a questa meta, evita questa situazione”. Questo approccio, però, parte da un assunto quantomeno discutibile, ovvero che gli adulti conoscono già il futuro.
Solo chi conosce un territorio può tracciarne una mappa consapevole. Tuttavia, il futuro è un “territorio” in cui nessuno è mai stato. Sarebbe come se un cartografo disegnasse una mappa di un luogo inesplorato da dare a qualcuno per permettergli di orientarsi. Di certo, quella mappa conterrà errori e potrebbe portare fuori strada chi la userà. Dunque, fornire ai giovani mappe per il futuro non solo è inefficace ma può essere persino dannoso.
Nassim Nicholas Taleb, nel libro Il cigno nero, parlando di previsioni sottolinea come l’uso di un modello statistico o economico errato può fare più danni dell’agire senza modello, perché ci induce in errori basati su false certezze. Allo stesso modo, fornire ai giovani mappe per il futuro che, per definizione, sono sbagliate (“Fai questo liceo…”, “Scegli quell’università perché è la migliore…”, “Non perdere tempo con quella passione, non ti porterà da nessuna parte…”), può metterli in difficoltà se quei suggerimenti si riveleranno inutili.
Nonostante l’aumento delle attività di orientamento – sia nella scuola superiore che nell’università – i dati sul dropout universitario ci dicono che il “disorientamento” è in aumento. Sempre di più, la scelta di un corso di laurea dipende da influenze familiari, sociali e percorsi di orientamento (aimè, anche questi ultimi sono delle mappe) ma poi sempre più giovani si accorgono, strada facendo, che hanno imboccato un percorso diverso dalle loro aspettative.
Il principale errore, quando si danno mappe per il futuro, risiede nel proiettare il passato in avanti, assumendo una simmetria fra passato e futuro che di fatto non esiste. Gli adulti credono di indicare ai giovani la strada migliore per il futuro, riferendosi alla propria esperienza, ossia alla maturazione derivante dalla riflessione sulle proprie scelte di vita e, in modo particolare, sugli errori compiuti. Ma questa proiezione è precaria, soprattutto in una società caratterizzata da cambiamenti rapidi e imprevedibili. La storia recente dell’umanità è piena di eventi dirompenti e imprevedibili che hanno colto di sorpresa i più proprio perché rompevano totalmente con i modelli del passato.
Un esempio emblematico (per non citare sempre il Covid-19) è la crisi finanziaria del 2008. Per anni si era creduto che il mercato immobiliare fosse un investimento sicuro. Questo presupposto derivava dall’osservanza di schemi passati: i prezzi delle case erano sempre saliti, quindi si pensava che questa tendenza sarebbe continuata. Basandosi su questa falsa certezza, le istituzioni finanziarie crearono modelli complessi, come i mutui subprime, che si rivelarono disastrosi negli USA. Entro il 2008, il valore medio delle case popolari negli USA è invece diminuito di circa il 30% rispetto ai massimi e, tra il 2007 e il 2009, più di 10 milioni di famiglie persero la propria casa. La disoccupazione negli USA aumentò dall’4,4% nel 2007 fino al 10% nell’ottobre 2009 (circa 8,7 milioni di posti di lavoro persi). La globalità mondiale della finanza esportò la crisi in ogni altro Paese: nel mondo, il Pil si è contratto dell’1,7% nel 2009. Ciò dimostra che, quando una variabile di contesto cambia, la continuità con il passato si interrompe e rischia di portare a crisi mai viste. In breve, l’aderenza cieca a modelli inadeguati può essere devastante.
Quindi, invece di fornire ai giovani solo mappe per un territorio inesplorato, dovremmo insegnare loro anche a orientarsi nell’incertezza, come facevano i nostri antenati. Prima dell’invenzione delle mappe le persone si orientavano osservando gli indizi presenti nel contesto, come la posizione delle stelle nel cielo, le tracce lasciate dagli animali o il muschio sugli alberi. Gli adulti insegnavano ai giovani a interpretare i segni, a costruire ragionamenti per trarne informazioni e poi adattarsi, mano a mano, a ciò che incontravano lungo il cammino, e tutto ciò nel tempo creava conoscenza. Come afferma l’antropologo Tim Ingold, nell’antichità, l’apprendimento avveniva tramite l’esperienza e l’osservazione. Insegnare ai giovani a “leggere le tracce” significa educarli all’interpretazione critica e all’adattamento.
Questo tipo di apprendimento è simile al cosiddetto learning by doing, una pratica educativa che risulta particolarmente efficace per sviluppare competenze di problem-solving. Di fatto, quegli indizi usati dai nostri antenati erano dei dati, da interpretare per essere trasformati in “informazioni” da finalizzare alle decisioni. Tra l’altro, questo, è uno dei compiti fondamentali della statistica:
dati → informazioni → conoscenza
Gli adulti che fornivano strumenti per la navigazione autonoma, insegnavano, cioè, una statistica ante litteram.
Studi condotti dall’OCSE evidenziano che è più utile insegnare competenze trasversali (come pensiero critico, adattabilità e interpretazione dei dati) piuttosto che contenuti rigidi. Si dovrebbe, cioè, insegnare ad imparare. Infatti, il programma PISA 2022 ha introdotto valutazioni sulla capacità di problem-solving creativo, per misurare come i giovani si orientano in situazioni complesse e non standardizzate. I risultati mostrano che Singapore ha ottenuto i punteggi più alti, seguito da Corea del Sud, Canada, Australia, Nuova Zelanda, Estonia, Finlandia, Danimarca e Lettonia. L’Italia è prossima alla media OCSE, suggerendo l’esistenza di margini di miglioramento.
Questi risultati evidenziano l’importanza di integrare l’apprendimento di competenze trasversali e flessibili nei curricula scolastici, preparando gli studenti ad affrontare situazioni complesse e a contribuire in modo efficace alla società contemporanea. Si tratta, nella società odierna, di imparare a navigare l’incertezza, senza utilizzare mappe preconfezionate.
A questo fine la statistica può aiutare molto, perché serve a interpretare segni e probabilità, piuttosto che a formulare “certezze illusorie”. Taleb, noto per le sue riflessioni sul futuro e sulla gestione del rischio e dell’incertezza, mette in guardia sulle certezze illusorie, sulla prevedibilità del futuro e sulla capacità di controllare gli eventi e sulla stabilità del mondo. Le chiama “illusioni pericolose”, in quanto inducono a sottovalutare l’impatto degli eventi rari e imprevedibili, che lui chiama “cigni neri”. Le certezze illusorie danno falsa sicurezza: credendo di poter prevedere il futuro, tendiamo a sottovalutare i rischi e a prendere decisioni sconsiderate. Tali certezze, in economia e nella società, rendono i sistemi fragili, quindi incapaci di resistere a shock improvvisi. Per esempio, a causa della pandemia, la contrazione del Pil mondiale nel 2020 è stata di circa il 3,3%, con un costo economico stimato superiore ai 16 trilioni di dollari.
Le certezze acritiche ci fanno perdere opportunità, perché la ricerca ossessiva della certezza può portarci a perdere di vista occasioni che si presentano al di fuori delle nostre previsioni. Ecco alcuni esempi: la previsione dei mercati finanziari (alcuni si dedicano a prevedere l’andamento dei mercati, ma spesso sbagliano in modo clamoroso); la pianificazione a lungo termine (pianificare troppo nel dettaglio il futuro è illusorio, in quanto il mondo è in continuo cambiamento); la ricerca della stabilità (la stabilità assoluta è un’illusione: il cambiamento è una costante esistenziale).
L’antifragilità, introdotta da Taleb, è una proprietà che può andare oltre la resilienza. Mentre un sistema resiliente (cioè che, dopo uno shock, torna nella condizione iniziale) è in grado di resistere a shock e perturbazioni senza subire danni permanenti, un sistema antifragile non solo resiste, ma ne esce rafforzato. In altre parole, l’antifragilità è la capacità di un sistema di migliorare in risposta a volatilità, disordine e fattori di stress. Ci permette di navigare in una società complessa e di trarre vantaggio dalle opportunità che ne emergono, offrendo strategie per costruire sistemi più robusti e duraturi, incoraggiando l’adattamento e l’innovazione.
Quando un sistema è sottoposto a stress, è costretto a evolvere e a trovare nuove soluzioni. Gli esempi di sistemi antifragili sono numerosi: il sistema immunitario si rafforza a contatto con agenti patogeni, diventando più resistente a future infezioni, così come molte aziende falliscono e vengono sostituite da altre più innovative e questo processo di “distruzione creativa” è alla base della crescita economica. Gli ecosistemi naturali sono costantemente soggetti a perturbazioni, come incendi o inondazioni, tuttavia sono in grado di rigenerarsi e di adattarsi a nuove condizioni. Tutto ciò si lega al concetto di “ormesi” che in medicina descrive una risposta adattativa positiva a piccole quantità di stress o tossine che, in dosi elevate, sarebbero dannosi. Un segnale ormetico è, quindi, uno stimolo che, in una certa dose, spinge il corpo o l’organismo a migliorare la sua resistenza, le sue prestazioni o la sua capacità di adattamento quindi, in una parola, l’antifragilità.
Per fare in modo che i giovani diventino più antifragili bisogna che accettino e convivano con l’incertezza. Forse i genitori dovrebbero sottoporli fin da piccoli, in dosi e frequenza ben calibrati (proprio come una medicina omeopatica) a segnali ormetici (un tempo si diceva “fare le ossa”) e non invece, come sta accadendo oggi, mossi dal desiderio di proteggerli da ogni sofferenza, creare ambienti sempre più asettici e controllati. Questo fenomeno, noto come “genitorialità elicottero”, è in aumento ed è oggetto di sempre più ricerche, dalle quali si evince che una delle cause è proprio la paura del futuro. Forse, nel timore di un futuro incerto, genitori e insegnanti tendono a tracciare troppe mappe rigide per i giovani, definendo aspettative precise sui loro successi scolastici e sulla loro carriera futura. Questo approccio, però, rischia di limitare la loro capacità di esplorare e scoprire autonomamente il proprio percorso, di imparare a leggere le tracce e trasformarle in informazioni utili a fini decisionali, generando ansia e insicurezza quando tardivamente si rendono conto che quelle mappe non corrispondono alla realtà.
La prima regola dell’antifragilità è accettare che il futuro è incerto e che non possiamo prevederlo e, quindi, non riusciamo a controllarlo completamente. Diversificare i propri investimenti, le proprie relazioni e le proprie conoscenze. Sperimentare, uscendo dalla propria zona di comfort, e provare nuove cose, consapevoli che gli errori sono opportunità di apprendimento. Essere flessibili, cioè essere pronti a cambiare idea e a adottare nuove strategie quando le circostanze lo richiedono. Infine, bisogna che i giovani imparino a sfruttare gli eventi negativi, ovvero imparare dalle esperienze, anche da quelle negative e non vivere, invece, ogni piccolo fallimento come una sconfitta. Bisogna ridare valore e importanza ai micro-fallimenti, perché è noto che il successo passa attraverso i fallimenti.
Valorizzare l’errore è un approccio educativo che promuove la crescita e si allinea all’antifragilità. Alcuni studi dimostrano che i bambini imparano riflettendo sugli sbagli, mentre la paura del fallimento, spesso alimentata da critiche, inibisce curiosità, creatività e autostima, deteriorando il rapporto con gli adulti. Insegnanti e genitori dovrebbero valorizzare lo sforzo, trasformare gli errori in occasioni di crescita e offrire feedback costruttivi. Taleb introduce in tal senso l’interessante concetto di “bussola” come strumento per orientarsi in un mondo incerto, un’idea che sembra trovare una forte risonanza nel dibattito sull’educazione contemporanea. Oggi, i bambini e gli adolescenti crescono in un contesto in cui tutto è rigidamente programmato: scuola, compiti, corsi di inglese, lezioni di musica, sport, cena e poi a letto. Una routine quotidiana serrata che, pur garantendo ordine e sicurezza, rischia di soffocare la loro capacità di prendere decisioni, di sbagliare e di imparare dall’errore. Non c’è spazio per la creatività, non c’è spazio per decidere, non c’è spazio per l’errore.
Un tempo, i giovani godevano di maggiore autonomia. Le indicazioni degli adulti si limitavano a semplici dritte: “Non tornare tardi”, “Fai attenzione a…”, “Evita certe compagnie”. Erano consigli, non programmi rigidi; erano bussole e non mappe! Questo lasciava spazio alla scoperta e all’esperienza diretta, anche quando implicava il rischio di fallire. A un fallimento, consegue, nelle persone consapevoli, la correzione del modo di agire. Con linguaggio statistico, l’aggiornamento delle proprie credenze sulla base di nuove informazioni è noto come ragionamento bayesiano, un modo di pensare formalizzato nel XVIII secolo da Thomas Bayes.
Avere avuto esperienze dirette è utile, in modo particolare, quando i giovani si troveranno di fronte alla prima decisione strategica della propria vita. Arrivare a quel momento privi di allenamento, incapaci di orientarsi senza una guida esterna, inesperti nel leggere e interpretare i molteplici dati che li circondano, può essere fatale. Al primo grande fallimento, infatti, seguono spesso crisi profonde (ansia e depressione sono in aumento fra i giovani: la “mappa” preconfezionata dagli adulti non corrisponde più al “territorio” reale in cui si trovano a vivere, lasciandoli spaesati e privi di punti di riferimento.
Pertanto, dobbiamo restituire ai ragazzi la possibilità di navigare senza percorsi prestampati. Lasciarli scegliere, sbagliare, subire più segnali ormetici, per riscoprire la capacità di utilizzare la propria bussola interiore. L’educazione non consiste nel tracciare percorsi certi, ma nell’insegnare a orientarsi, con coraggio, nell’incertezza della vita.
Gli adulti, nel ruolo di guide, non devono temere di dire: “Non conosco il futuro, ma posso aiutarti a sviluppare le competenze per affrontarlo.” Questo approccio educativo pone al centro la crescita personale e l’autonomia, riconoscendo che il compito degli adulti (genitori, educatori) non è prevedere il futuro, ma aiutarli a viverlo, qualunque esso sarà.
A margine e a conclusione di questo discorso, aggiungiamo che nella scuola e nelle università bisogna introdurre più “ragionamento statistico”, insegnando ai giovani a navigare nell’incertezza attraverso strumenti interpretativi li prepara meglio alla vita, all’attività professionale e là dove il cambiamento è l’unica costante. La statistica, come “linguaggio dei dati”, è l’evoluzione naturale di questa antica capacità umana di trasformare tracce in informazioni utilizzabili a fini decisionali. Il ragionamento bayesiano era di fatto insito nel comportamento adattivo degli antichi, anche se in modo inconscio e non strutturato matematicamente. Il processo di aggiornamento delle credenze basato su nuove evidenze è una capacità naturale che gli esseri umani (e anche molti animali) hanno da sempre utilizzato per sopravvivere, adattandosi all’incertezza del mondo.
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