Il governo Netanyahu ha lanciato una serie di raid aerei su Gaza come rappresaglia per un attacco mortale di Hamas che ha ucciso oltre 1.400 israeliani, un evento – quest’ultimo – paragonabile, per impatto emotivo, agli attacchi dell’11 settembre negli Stati Uniti. L’azione israeliana rispecchia la risposta militare americana post-11 settembre, che ha minato l’autorità occidentale e complicato le relazioni interculturali. Un nuovo intervento militare nel Medio oriente potrebbe avere effetti ancora più devastanti.



Nel periodo immediatamente successivo all’11/9 gli USA godettero di un ampio sostegno internazionale. Putin fu uno dei primi a contattare la Casa Bianca. Al contrario, oggi numerosi Paesi puntano il dito contro Israele, accusandolo di occupazione illegittima e oppressione del popolo palestinese, come sottolineato da Naledi Pandor, ministra degli Esteri del Sudafrica. Mentre Narendra Modi, primo ministro dell’India, si distingue per il suo chiaro appoggio a Israele.



Il sostegno internazionale a Israele ha spesso seguito la divisione razziale descritta da Marcel-Jacques Dubois. Negli anni 30, la violenza palestinese contro i coloni ebrei europei trovò persino una giustificazione in Gandhi. La formazione dello Stato di Israele, vista come necessaria dopo l’Olocausto, non fu riconosciuta da molte nazioni asiatiche e africane, e ancor meno da quelle mediorientali, lasciando i palestinesi a pagare per i crimini europei.

La situazione attuale rischia non solo di minare gli sforzi di Israele per normalizzare i rapporti con i vicini arabi, ma anche di distogliere le risorse occidentali dal conflitto in Ucraina. La strategia di Biden per limitare l’influenza cinese nel Medio oriente, inclusi gli accordi tra Israele e Arabia Saudita e un corridoio economico tra India ed Europa, potrebbe essere compromessa. Anche un conflitto confinato a Gaza attirerebbe attenzione sulle politiche occidentali a doppio standard riguardo ai diritti umani, come denunciato da Amnesty International.



Né Russia né Cina, recentemente vicine a Tel Aviv, hanno espresso solidarietà a Israele, preferendo sfruttare la situazione per criticare l’Occidente come ipocrita e arrogante. L’azione della Commissione europea, che ha brevemente sospeso gli aiuti all’Autorità Palestinese, gioca a loro favore.

L’escalation di violenza da parte di Israele conferma che la forza militare ha limitati benefici per la sicurezza nazionale. L’attacco di Hamas ha rafforzato la sua immagine, anche al di fuori del suo nucleo militante. La crescente convinzione tra i musulmani indignati nel mondo di poter prevalere non è da sottovalutare. Questo sentimento potrebbe ispirare azioni simili a livello globale, come già accaduto dopo le rivolte palestinesi del 1987 e del 2000. Molti musulmani in Europa, Asia meridionale, Nordafrica e Medio oriente, sentendosi senza speranza come gli abitanti di Gaza, potrebbero portare il conflitto nelle strade occidentali.

La speranza rimane che la consapevolezza condivisa della vulnerabilità possa incoraggiare israeliani e palestinesi a riprendere i colloqui di pace. L’obiettivo dovrebbe essere la fine dell’occupazione israeliana e la creazione di uno Stato palestinese libero dall’influenza di gruppi terroristici come Hamas. Se questa visione rimane irrealizzata, ci si deve preparare a tempi ancora più bui rispetto a quelli seguiti all’11 settembre.

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