L’Iran costituisce certamente un soggetto politico temibile, anche perché si serve di diversi soggetti politico-militari per rendere la sua azione efficace in Medio oriente e a livello globale. Il rapporto tuttavia che esiste tra lo Stato iraniano e queste entità denominate in gergo proxy, di cui andremo a parlare a breve, è un rapporto complesso, articolato, che non può essere interpretato in termini deterministici.



La Repubblica islamica dell’Iran, dalla sua creazione nel 1979, ha stabilito una rete di partnership con attori armati non statali in Medio oriente. Teheran, per fare questo, si è affidata in particolare alla forza Al-Qods: un’entità legata al Corpo dei Guardiani della Rivoluzione Islamica (IRGC) e guidata da Qassem Soleimani fino alla sua eliminazione da parte degli Stati Uniti nel gennaio 2020. Oltre alle loro relazioni con il padrino iraniano, alcuni movimenti mantengono stretti rapporti tra loro, facendo emergere un complesso insieme di interazioni pluridimensionali. La missione della forza Al-Qods è, secondo le parole dell’ayatollah Ali Khamenei nel 1990, di creare cellule popolari di Hezbollah in tutto il mondo, affermazione questa che è stata confermata nel 2016 dal leader del IRGC, che afferma che lo scopo dell’entità è extraterritoriale: aiutare i movimenti islamici, sviluppare la rivoluzione islamica e sostenere la resistenza dei popoli che soffrono in tutto il mondo.



Soleimani

L’IRGC può essere definito come una innovativa simbiosi strategica tra – se vogliamo fare riferimento gli Stati Uniti – la CIA e le forze speciali. Essa è inseparabile da quella di Qassem Soleimani, che si unì all’IRGC poco dopo la rivoluzione del 1979, fino a svolgere funzioni di comando. Assunse poi formalmente la direzione della forza Al-Qods, ramo dell’IRGC, nel 1998 occupando, come tale, un ruolo preminente nell’ambito delle relazioni che Teheran ha con molti attori statali e non statali in Medio oriente. In particolare, gli anni duemila offrono alla forza Al-Qods nuove opportunità. Guidata da Soleimani, approfitta in particolare dell’invasione americana in Iraq del 2003 per espandere la sua influenza regionale. Teheran sostiene materialmente i movimenti armati sciiti che combattono contro le forze americane nel Paese. Alcune armi fornite sono particolarmente letali per l’esercito americano.



Soleimani continua a ricoprire un ruolo chiave nell’ambito degli interventi esterni dell’Iran negli anni 2010, in particolare nel contesto del sostegno al regime siriano di Bashar el Assad. Qualificato, già prima della sua morte, come “martire vivente della rivoluzione” dall’ayatollah Khamenei, Soleimani è quindi un attore centrale nei legami tra l’Iran e le entità affiliate negli ultimi decenni. Il suo assassinio da parte di un attacco di droni americani nel gennaio 2020 porta a ripercussioni tangibili sui rapporti tra l’Iran e i suoi partner non statali. Il nuovo leader della forza Al-Qods Ismael Qaani avrebbe meno influenza tra i gruppi iracheni rispetto al suo predecessore. Questo sottolinea quanto le dimensioni interpersonali e/o culturali possano avere importanza per il controllo esercitato da uno sponsor sui suoi protetti.

Le motivazioni

Quali sono le ragioni strategiche che spingono l’Iran a sostenere gruppi di questa natura? Fra questi naturalmente dobbiamo soprattutto includere Hamas, Hezbollah e gli Houthi.

In primo luogo sostenere questi gruppi consente all’Iran di aumentare la sua influenza regionale a un costo inferiore e, in assenza di armi nucleari, di garantire una forma di “difesa avanzata” nei confronti dei suoi concorrenti statali regionali ed extraregionali: in particolare Israele, Stati Uniti o, a seconda del periodo, l’Arabia Saudita. Teheran compenserebbe così un rapporto di forza sfavorevole dal punto di vista convenzionale con un importante investimento in strumenti asimmetrici. A qualsiasi attacco agli interessi iraniani potrebbe infatti succedere un conflitto su più fronti.

La seconda motivazione è da individuare in ragioni identitarie e ideologiche. L’argomento religioso, in particolare basato sull’islam sciita, si scontra comunque con limiti empirici. L’Iran non ha esitato, negli ultimi decenni, ad aiutare gruppi sunniti come Hamas, palestinese, o i talebani afgani, o anche movimenti singolari come il Partito dei Lavoratori del Kurdistan, inizialmente marxista (PKK). Ciò significa che il suo atteggiamento è flessibile dal punto vista strategico e quindi di gran lunga più efficace rispetto ad un atteggiamento di fanatismo identitario sul piano ideologico o religioso. Accanto alle Guardie e a Al-Qods abbiamo naturalmente Hezbollah.

Hezbollah

Hezbollah diventa, a partire dagli anni 90, in particolare, un attore militare imprescindibile in Medio oriente. Due dei principali fatti d’armi del gruppo sono la lotta insurrezionale contro Israele nel sud del Libano, che porta al ritiro israeliano nel 2000, e la guerra contro lo Stato ebraico nell’estate del 2006, che offre all’organizzazione un importante prestigio a livello regionale. Hezbollah è anche coinvolto nel conflitto siriano negli anni 2010, inviando molti combattenti alle forze del regime di Bashar el Assad.

Hezbollah è da diversi decenni un attore ibrido, perché pur essendo un attore non statale, è altamente integrato nella vita politica libanese. Oltre alle sue attività armate, l’entità guidata da Hassan Nasrallah dal 1992 partecipa alle elezioni e fornisce servizi sociali, ad esempio gestendo ospedali o programmi di aiuto ai suoi veterani o alle loro famiglie. Questo lo rende un attore difficile da qualificare. L’organizzazione non è un gruppo ribelle, nel senso di un movimento organizzato impegnato in una lotta armata attiva contro il governo per rovesciarlo o separarlo. Hezbollah non è nemmeno una milizia filogovernativa, intesa come un’entità armata organizzata che combatte al fianco delle forze militari regolari all’interno del proprio territorio.

È quindi un attore singolare che si evolve in parallelo – e talvolta in modo integrato – con lo Stato libanese. Mentre le stime collocano il numero di combattenti e riservisti di Hezbollah tra 25mila e 30mila negli anni 2010, l’esercito libanese regolare avrebbe circa 84mila membri nel 2023. Il governo libanese deve quindi fare i conti con un’entità armata che possiede una forte autonomia operativa sul suo territorio e che può impegnare direttamente gli interessi di sicurezza del Paese.

Il facilitatore

Hezbollah libanese, qualificato come “il più grande successo del modello paramilitare iraniano”, occupa quindi un posto di grandissimo rilievo in Medio oriente. In stretto coordinamento con la forza Al-Qods, Hezbollah è di fatto diventato un facilitatore centrale nelle relazioni tra l’Iran e i suoi partner non statali. Il movimento guidato da Nasrallah è coinvolto in modi diversi: attraverso l’accoglienza di leader di entità armate in Libano o attraverso la fornitura di aiuti finanziari o formazione in combattimento, ad esempio. L’organizzazione addestra in particolare gli Houthi in Yemen o gruppi in Iraq e Siria. Si può ben dunque affermare che esiste un vero e proprio coordinamento militare tra diversi movimenti.

L’uso di Hezbollah come facilitatore nei suoi rapporti con gruppi armati può avere interessi operativi per l’Iran, offrendo in particolare allo Stato la possibilità di intervenire a costi inferiori consentendogli, se ritenuto necessario, di negare il suo coinvolgimento in conflitti al di fuori dei suoi confini. Hezbollah può anche permettere a Teheran di minimizzare i rischi di tensioni legate a fattori culturali nelle sue relazioni con entità non statali presenti principalmente nei Paesi arabi.

Più vicino a un “fratello d’armi” che a un proxy per l’Iran, Hezbollah è tuttavia probabilmente più l’eccezione che la regola. Gli analisti internazionali esperti di terrorismo mediorientale sottolineano la crescente importanza dell’organizzazione yemenita. A tale proposito i legami che uniscono gli Houthi a Teheran sono ad esempio tradizionalmente meno stretti di quelli che uniscono l’Iran al gruppo libanese. Ma anche in questo caso è necessario fare una precisazione: anche se Hezbollah ha un coordinamento militare molto stretto con l’Iran e dipende dall’aiuto materiale dell’Iran, il controllo dello Stato iraniano nei suoi confronti è relativo, poiché in alcune circostanze il movimento può porre in essere azioni terroristiche e di guerriglia senza la preventiva autorizzazione dell’Iran.

I rischi

Se sostenere gruppi armati può consentire ai governi di evitare costi politici e materiali tradizionalmente associati a interventi militari diretti, questa modalità di impegno non è quindi priva di rischi, soprattutto nel lungo periodo. I cosiddetti proxy hanno sempre interessi propri, e gli Stati possono essere trovati a sostenere movimenti che conducono azioni incompatibili con gli obiettivi inizialmente determinati. Questo non significa che i mandanti non abbiano alcun potere di controllo sulle operazioni degli esecutori, ma che si tratta di un rapporto di potere in cui lo sponsor ha meno peso di quanto potrebbe essere intuitivamente stimato.

Diversi elementi determinano l’equilibrio di forza. In primo luogo, per sperare di esercitare un’influenza tangibile sulla condotta dei suoi partner, uno Stato deve essere in contatto con gli individui che hanno effettivamente potere all’interno di un’entità proxy, che a sua volta deve essere organizzata e gerarchizzata in modo che questi individui possano effettivamente far rispettare gli ordini. Il controllo sarebbe, nel caso di un movimento caratterizzato dalla presenza di diverse fazioni relativamente indipendenti, solo nel migliore dei casi parziale.

Ma esiste un altro elemento per valutare il contenuto del rapporto di forza tra Stati e gruppi sostenuti: la natura del sostegno. Più l’assistenza è importante per l’entità armata, più lo sarà anche il potere di leva. Quest’ultimo potrà esercitare una reale influenza sulle operazioni del suo partner, in particolare attraverso una distribuzione condizionale e progressiva della sua assistenza. Insomma più un gruppo sarà dipendente dall’aiuto assegnato da un governo specificamente, maggiore sarà il potere di leva di quest’ultimo.

Il termine proxy può quindi coprire realtà disparate a seconda dei casi, e deve essere maneggiato con cautela. Facciamo degli esempi. L’influenza iraniana in Libano passa centralmente attraverso Hezbollah, mentre il coinvolgimento di Teheran in Iraq è più diffuso, passando attraverso diverse fazioni. L’Hamas palestinese sunnita può ad esempio contare sul concorso materiale del Qatar accanto a quello dell’Iran. Gli Houthi beneficiano di un forte e antico ormeggio in diverse regioni dello Yemen, permettendo loro plausibilmente di accedere a vari mezzi.

Le organizzazioni irachene sono fortemente investite in attività economiche lecite e illegali. Ogni gruppo differisce quindi in termini di fonti di approvvigionamento alternative, rendendo irrealizzabile stabilire una diagnosi generale della dipendenza di ciascuno dei movimenti dal sostegno iraniano per portare a termine i loro obiettivi. Ciò rende, di conseguenza, impossibile la valutazione del potere di controllo che l’Iran può esercitare sulle operazioni delle entità che sostiene. In Iraq, anche se inizialmente vicino all’Iran durante la lotta contro l’occupazione americana post-2003, il leader Moqtada Al-Sadr denuncia poi la presenza iraniana nel Paese. Le azioni condotte da altri movimenti iracheni negli ultimi anni sembrano essere state contrarie alle preferenze di Teheran. Hamas palestinese si rifiuta di allinearsi alla posizione iraniana sul regime siriano di Bashar al Assad nei primi anni 2010 e i suoi leader politici si trasferiscono in Qatar. In Yemen, l’Iran avrebbe, senza successo, sconsigliato agli Houthi di prendere Sanaa nel 2014.

Controindicazioni

Insomma è evidente l’impossibilità per uno Stato di esercitare il controllo assoluto sulle operazioni di partner non statali. In conclusione questo rapporto, non strettamente gerarchico ma potremmo dire reticolare, consente ai proxy di poter portare avanti scelte politiche e militari autonome o addirittura di potersi sganciare laddove il soggetto statale centrale dovesse essere sconfitto o la sua potenza dovesse essere profondamente ridimensionata. Ad ogni modo inquadrare il rapporto fra lo Stato iraniano e i suoi proxy in una logica di totale e assoluta gerarchizzazione e subordinazione costituisce un grave errore interpretativo.

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